Controcultura

La letteratura non ha generi ma contenuti

Dell’espressione "scrittura al femminile" m’infastidisce solo la preposizione "al".

La letteratura non ha generi ma contenuti

Dell’espressione «scrittura al femminile» m’infastidisce solo la preposizione «al». Benissimo il resto, la preposizione no. Il dativo, in qualunque modo lo si prenda, è la declinazione per eccellenza, e io non penso (non voglio) che esistano scritture declinate, o declinazioni della scrittura. Se la donna ha avuto nei secoli un ruolo subalterno, non è bello che questo ruolo continui anche nella scrittura letteraria. «Al» secondo me significa «un po’ meno»: non proprio una scrittura, ma una scrittura al femminile, venata di femminilità, di sensibilità, di delicatezza, ricca di sfumature, talvolta un po’ esclusiva (nascondiglio dove gli uomini non sono propriamente ammessi) e quindi vagamente lesbica anche quando puttana. La letteratura non è terreno di rivendicazioni. La plaza de toros non ammette manifestazioni di piazza: lì si vive o si muore.

Questo non significa che non esista una «scrittura femminile», anzi, migliaia di scritture femminili, come è infinita la femminilità, com’è infinito quel mondo che chiamiamo sessualità, che non è una «sfera» ma costituisce il sistema nervoso della scrittura. Come diceva Scott Fitzgerald: Pollicino, Cenerentola, ossia la donna, l’uomo. Che altro? Trovatemi un solo capolavoro che non abbia al centro la bellezza di una donna, l’eroismo (o la ribalderia) di un uomo. Alcott, Austen, le Brontë, Woolf, Cather, McCarthy, McCullers, O’Connor, Yourcenar, Duras, De Beauvoir, e ancora Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein, Achmatova, Cvetaeva, Szymborska, e poi Morante, Romano, via via fino a noi. Quante immense scrittrici! Ciascuna con la sua femminilità, talune più «uomini» di tanti uomini.

Ma proprio questa varietà infinita mi fa sorridere all’idea di una scrittura «al» femminile contrapposta (immagino) a una scrittura «al» maschile. Diciamo che ci sono uomini e donne che scrivono, e che il carattere e la natura di ciascuno passano dentro la pagina. Anche se questo passaggio avviene attraverso un procedimento, quello dell’Arte, che non è esattamente lo stesso dell’artigianato. L’artigiano infatti trasforma una materia prima in un oggetto, mentre ciò che l’artista produce è, esattamente, una materia prima, nel senso che il David non è «una statua», è «Il David», e Cime tempestose non è «un romanzo» ma quella cosa lì, quella materia lì. Solo in «quella cosa lì» io incontro l’uomo, maschile e femminile.

Il resto mi pare sociologia, al massimo antropologia, e comunque declinazione, e m’interessa poco.

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