Cultura e Spettacoli

L'intellighenzia che non capisce mai la "gente"

Il saggio di Roberto Chiarini Alle origini di una strana Repubblica (Marsilio) spiega bene perché, fin dalla nascita dell'Italia repubblicana, fra il '43 e il '46, la cultura politica è di sinistra mentre il Paese è di destra: grazie alla legittimazione conquistata attraverso la lotta di Liberazione, i partiti antifascisti (anche quelli non democratici) sono diventati i protagonisti assoluti della vita pubblica; l'antifascismo è stato elevato a paradigma politico che non si poteva mettere in discussione; di conseguenza l'antifascismo, «eretto a criterio di invalidazione delle forze che non ne sottoscrivessero il valore fondante», ha sanzionato il bando della destra. In un Paese, per altro verso, che non è mai stato di sinistra. Si aggiunga una destra per mille motivi da sempre disinteressata a «occupare» le casematte del pensiero, ed eccoci qua, settant'anni dopo, a trascinarci ancora in questa «strana Repubblica». Quando, nel febbraio scorso, dopo che tutti i grandi giornali, tutte le tv (non berlusconiane, e a volte anche quelle) e il milieu intellettuale del Paese (giornalisti, scrittori, cantanti, filosofi...) ripetevano il mantra della «destra impresentabile», il partito di Berlusconi ha pareggiato il risultato dell'ennesima macchina da guerra della sinistra, tutti sono rimasti stupiti... senza parole, anzi con una sola parola: «Strano...». Ma che strano che in un Paese in cui i salotti culturali - grandi giornali, talkshow, festival, editoria, mondo dello spettacolo - pensano solo a sinistra, poi la gente vota (anche) a destra. La distanza fra un «Paese legale», connotato da una pregiudiziale prima antifascista e poi antiberlusconiana, e un «Paese reale», animato da un prevalente orientamento prima anticomunista e poi «conservatore» o «moderato», non è mai stata colmata. Ecco il dramma passato, presente, e futuro, dell'Italia. Condannata a essere spaccata tra una società «politica» che è in balia di una nuova egemonia culturale 2.0 (con la variante di essere passata dai maître ai pop à penser) e una società «civile» che continua a rimanere non progressista.

Stranamente.

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