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L'ordine degli assassini: tra droghe, morte e leggende

Viaggio nella setta islamica che affonda le radici nell'XI secolo e che ha fatto dell'omicidio un rituale sacro

L'ordine degli assassini: tra droghe, morte e leggende

Le lingue di fuoco si alzano verso il cielo, danzando verso una notte senza stelle. I piccoli lapilli rossi e gialli cadono sulla sabbia spegnendosi poco dopo, mentre tutt'attorno il silenzio è rotto solamente da qualche parola fugace pronunciata sottovoce. Il fumo intenso avvolge tutto in un odore intenso ed acre. Si crea un sottile velo grigio, che divide la realtà dal mistero. Gli occhi si socchiudono e gli istinti più primordiali si scatenano. I segreti si sussurrano: i culti devono essere infatti conservati a ogni costo. Anche con la morte. Soprattutto qui, tra gli adepti della setta degli assassini.

Assassini, dall'arabo al-Hashīshiyyūn, ovvero coloro che sono dediti all'hashish. Oppure nizariti. Parole diverse per indicare un movimento complesso, nato all'interno dell'islam sciita e attorno al quale sono nate diverse leggende, compresa quella del consumo sfrenato di droghe prima di commettere violenze inaudite. Ma la storia de L'ordine degli assassini, per citare il titolo di un bel libro scritto da Marshall G.S. Hodgson e da poco pubblicato dalla casa editrice Adelphi, è molto più complessa e allo stesso tempo tenebrosa.

La via di Ḥasan-i Ṣabbāḥ

"Sin dalla fanciullezza, dall'età di sette anni, mi sentii attratto dalle varie scienze e desiderai un'istruzione relgiosa; e fino all'età di diciassette anni perseguii e ricercai la conoscenza. Ma continuai a osservare il credo duodecimano dei miei padri". A parlare è Ḥasan-i Ṣabbāḥ, il fondatore del movimento, in un resoconto riportato nell'opera di Rashid ad-Din. È un cercatore, un uomo con una grande urgenza religiosa a cui non basta la tradizione trasmessa dai padri. Cerca e vuole di più, senza però trovarlo, fino a quando non si imbatte nel rigore di quello che poi diventerà il suo primo gruppo, i Nizariti appunto, di adepti: "Era timoroso di Dio, pio, astinente, e apprensivo quanto al bere; io avevo orrore del bere, poiché è definito nella tradizione (habar) 'il colmo della lordura e la madre delle offese'".

Moschea

Ma questo per Ḥasan non è un punto di arrivo. È solamente un punto di partenza: compie infatti un viaggio in Egitto, passando per Azerbaijan e Siria, e trova un Paese in profonda crisi. Torna dunque in Iran, a Isfahan, e comincia a girare nei principali centri religiosi sottoposti al dominio selgiuchide. È in questo periodo che comincia a progettare un piano apparentemente folle: la liberazione della fortezza di Alamut, che rimarrà a lungo il vero centro del potere nazirita, a circa cento chilometri da Teheran.

I selgiuchidi - che all'epoca controllavano un territorio che andava dall'Iran alla Siria, passando per l'Iraq - iniziano a temere questo movimento e cominciano a perseguitarlo. Gli attacchi si fanno sempre più frequenti e i naziriti sembrano sul punto di soccombere. È a questo punto che Ḥasan pensa alla vendetta: è il momento degli omicidi mirati.

Uccidere, morire e risorgere

Gli omicidi compiuti dai niziriti non sono mai casuali, ma sono rivolti a due principali categorie, come spiega Hodgson ne L'ordine degli assassini: i capi militari e i "personaggi pubblici di rilievo locale che osteggiavano le loro dottrine o iloro privilegi, o che incitavano all'odio controi di loro: legisti e capi cittadini". L'assassinio diventa uno dei momenti principali della vita dei naziriti: un racconto, più di tanti, spiega l'importanza di questo vero e proprio rituale per i credenti: una madre scoppia di gioia nel venire a conoscenza della morte del figlio. La gioia, però, si trasforma in dolore quando scopre che il figlio era sopravvissuto. Perché il carnefice molto spesso si trasformava in vittima: attaccando personaggi noti veniva presto trucidato da chi li difendeva. Ma il nizarita moriva col sorriso, certo di un futuro migliore nell'aldilà. Per questa serenità, quasi stoica, molti hanno cominciato a pensare che gli aderenti a questo gruppo facessero uso di hashish. Eppure, questa convinzione, non trova alcuna sponda nei testi e nelle storie che riguardano questo grupppo.

Sufi

Anzi, Hodgson ne prende le distanze, affermando che spesso i nizariti sarebbero stati vittime di vere e proprie leggende nere in quanto minoranza e cita a tal proposito un esempio significativo: "La gente narrava con orrore e raccapriccio la storia del giardino del signore di Alamut, dove erano delizie - fiori, profumi, vini, donne voluttuose - che l'immaginazione potesse concepire. Nel sonno indotto da una pozione magica, giovani bellissimi vi venivano condotti per godere a sazietà di quei piacere - e per essere inviati, nei giorni seguenti, a uccidere i potenti della terra al prezzo delle loro vite. A loro erano riservate le delizie del Paradiso, e una libertà irresponsabile in cui venivano meno i legami passati e futuri; e loro era il puro orrore di un gesto spaventoso e di una morte devota".

Vita e morte: non poteva essere altrimenti per questa setta eternamente contesa tra alto e basso. Tra giusto e sbagliato.

Tra vita e morte, appunto.

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