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Macché bigotto e fanatico. Ecco il vero De Maistre

Brillante, cordiale, affascinante. Il conte più odiato dai nipotini di Robespierre era ultrademocratico, almeno nei salotti. Pur detestando ogni rivoluzione

Macché bigotto e fanatico. Ecco il vero De Maistre

Alphonse de Lamartine conobbe il conte Joseph de Maistre quando questi, nell'ultimo scorcio di vita, stava ultimando Le serate di Pietroburgo , il capolavoro che gli avrebbe dato fama di tradizionalista controrivoluzionario e che sarebbe stato pubblicato postumo, nel 1821, pochi mesi dopo la sua morte. Il giovane poeta, all'epoca ancora politicamente legato alla tradizione familiare legittimista, ne tratteggiò un ritratto vivacissimo: «Era un uomo di alta statura, con una bella e virile figura militare, con una fronte alta e scoperta, su cui ondeggiavano, come i resti di una corona, solo alcune ciocche di capelli argentati. Il suo occhio era vivo, puro, franco. La sua bocca aveva l'espressione abituale di fine umorismo che caratterizzava tutta la famiglia: possedeva nei suoi atteggiamenti la dignità del suo rango, del suo pensiero, della sua età».

A leggere le testimonianze di chi lo frequentò, in effetti, de Maistre fu proprio così: elegante e cordiale, eccellente conversatore dall'eloquio brillante, ironico e ricco di paradossi che gli garantivano la stima degli ascoltatori e il successo mondano. Tutto il contrario dell'immagine cupa cucitagli addosso di reazionario impenitente e irriducibile nel suo odio per la rivoluzione. A dipingerlo come fanatico e bigotto fu, prima di tutti, il grande (anche nella malevolenza) Sainte-Beuve. Questi era rimasto colpito dal fatto che de Maistre, «intelletto profondamente religioso», non si accontentasse di «riconoscere il dito della Provvidenza quando la vede vendicare i buoni e abbattere i malvagi», ma salutasse e riconoscesse «questo dito visibile perfino nel trionfo del male e dei malvagi» al punto, per esempio, di interpretare la rivoluzione francese come un castigo divino.

Che la grande rivoluzione sia stata, per lui e per l'evoluzione del suo pensiero, un evento fondamentale lo dimostra il fatto che de Maistre cominciò a scrivere attorno ai quarant'anni, quando il ciclone rivoluzionario era in pieno svolgimento. Uno dei suoi primi lavori fu il saggio, polemico e sulfureo, Considérations sur la France (1797) che contiene la celebre frase: «il ristabilimento della monarchia, che si chiama controrivoluzione, non sarà una rivoluzione contraria, ma il contrario della rivoluzione». Prima di quell'evento de Maistre, che era nato nel 1753 a Chambéry da un'agiata famiglia di origine borghese, non si era mai molto interessato di politica ed era generalmente considerato un liberale o, se si preferisce, un cattolico liberale, avverso all'assolutismo e sostenitore delle autonomie e dei privilegi locali. Lo sconvolgimento del suo piccolo mondo lo trasformò completamente. Un grande pensatore liberale, Isaiah Berlin, ha sottolineato come proprio quell'evento, con le sue violenze, lo avesse spinto a rivedere la concezione del mondo e a trasformarsi in «un legittimista ultramontano, un assertore del carattere divino dell'autorità e del potere, e naturalmente un avversario inflessibile di tutto ciò che i Lumi settecenteschi avevano rappresentato». Un peso notevole sull'evoluzione di de Maistre l'ebbero anche le Reflections on the Revolution (1790) dell'inglese Edmund Burke, destinato a diventare un testo fondamentale del pensiero conservatore, soprattutto nella critica all'astrattezza del razionalismo illuminista e nella rivendicazione del valore dell'esperienza storica. Il rapporto intellettuale con Burke, e quindi con il conservatorismo più che con la gretta reazione, è stato sottolineato giustamente da Alfredo Cattabiani nella prefazione all'opera più celebre e celebrata di de Maistre, Le serate di Pietroburgo o Colloqui sul governo temporale della Provvidenza (pagg. XL-540, euro 30), ora pubblicata dall'editore Nino Aragno: una prefazione che presenta de Maistre in tutta la sua complessità, come un «maestro occulto del romanticismo europeo», oltre che come «ispiratore dei reazionari e nello stesso tempo interprete sottile della Tradizione».

Presso la corte dello zar Alessandro I, a Pietroburgo, de Maistre era stato inviato nel 1802 da Vittorio Emanuele I come ministro plenipotenziario e vi sarebbe rimasto fino al 1817. Lì, per quanto costretto a vivere e operare in condizioni non finanziariamente prospere e non consone all'altezza del suo rango, aveva svolto un'intensa attività diplomatica, tutelando gli interessi del Regno di Sardegna. Riuscì, per esempio, a ottenere per questo una sovvenzione pagata regolarmente dallo zar fino al 1814. Persino Napoleone, che stava allora consolidando il proprio potere e ne cercava una legittimazione politica, finì per apprezzarlo, soprattutto come scrittore politico, al punto da cancellarlo dalla lista degli emigrati politici e da autorizzarlo a rientrare nell'Impero senza condizioni, permettendogli di rimanere al servizio del Re di Sardegna. Alla corte russa de Maistre si impose per l'intelligenza, la cultura, la capacità di conversare su ogni argomento, la finezza delle analisi.

Al tempo stesso, tuttavia, completò l' Essai sur le principe générateur des constitutions politiques (1811) dedicato allo studio di origine, struttura e finalità delle costituzioni. Soprattutto cominciò a scrivere Le serate di Pietroburgo , opera di grande fascino anche letterario, ricca di pagine indimenticabili come quelle iniziali che con afflato poetico descrivono la suggestione del tramonto sulle rive della Neva in una serata estiva. Articolate in undici colloqui che si sviluppano secondo il metodo platonico fra tre personaggi emblematici - il Conte, il Senatore e il Cavaliere - Le serate di Pietroburgo sono la summa del pensiero filosofico di de Maistre e il punto d'arrivo della critica al razionalismo settecentesco e allo scientismo di derivazione baconiana. La riflessione, pur muovendosi sul terreno della filosofia e della religione, finisce per sconfinare nella politica, negando la possibilità, anche solo teorica, di un regime ideale e sostenendo, invece, la necessità che le istituzioni dei singoli Paesi si conformino alla loro «costituzione naturale», cioè alla loro storia.

Affascinanti e in qualche caso discutibili o choccanti (si pensi al famoso elogio del boia) le pagine di questo capolavoro dello scrittore savoiardo costituiscono un esercizio insuperato e insuperabile per mettere alla prova, pur nella polemica contro quello che Friedrich von Hayek avrebbe definito «l'abuso della ragione», la capacità raziocinante dell'essere umano.

Non a caso un poeta maledetto come Charles Baudelaire inserì de Maistre fra i pochi che gli avevano insegnato a ragionare.

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