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Macché egoista e avido Il mercato ha un'anima

Al di là dei luoghi comuni, il capitalismo non è un sistema violento e immorale Da Smith a Putnam, ecco chi ha dimostrato i fondamenti etici del liberismo

Macché egoista e avido Il mercato ha un'anima

Da più parti si guarda al mercato come a un meccanismo impersonale: un sistema che è tanto più efficace quanto più ignora ogni riferimento di ordine etico. Tale rappresentazione è il risultato di vari fattori: in particolare, essa nasce dall'incontro tra il prevalere della prospettiva utilitaristica in economia e l'identificazione (erronea) di egoismo assoluto e comportamento imprenditoriale. Nel '700 vi fu anche chi, come Bernard de Mandeville nella sua Favola delle api , arrivò a sostenere che una certa tenuta sociale può derivare solo da comportamenti immorali, poiché solo i «vizi privati» si convertono in «pubbliche virtù». È l'egoismo dei singoli a produrre l'armonia sociale, mentre la generosità genera disordine e inefficienze.

In verità, non si dà mercato senza fondamenti di ordine etico. Non è un caso se a fondare l'economia moderna è stato un filosofo morale, Adam Smith, che per tutta la vita ha scritto e riscritto due opere: la ben nota Ricchezza delle nazioni , in cui indaga le logiche dell'interazione spontanea di mercato, e La teoria dei sentimenti morali , in cui l'attenzione è in primo luogo sulla «simpatia» quale naturale disposizione a riconoscersi nell'altro e a condividerne le esperienze interiori. Morale ed economia si muovono assieme fin dall'inizio e una società di mercato non può prescindere da taluni valori.

In questo senso, va ricordato che gli autori che con più determinazione hanno difeso la società liberale in contrapposizione con ogni forma di interventismo pubblico abbiano, in primo luogo, usato argomenti di ordine etico. L'economista e filosofo libertario Murray Rothbard prende dalla romanziera russo-americana Ayn Rand una nozione cardinale per la sua intera riflessione: quello che egli definisce «assioma di non aggressione». In una società libera nessuno può aggredire il prossimo: non può farlo un privato, non può farlo un politico o un burocrate. In questo senso, ad esempio, la tassazione è assimilabile a un furto perché viola regole morali elementari: essa è la pretesa di «vendere» servizi (protezione, welfare o altro) anche a chi questi servizi non ha chiesto e non vuole.

In quanto ordine di rapporti volontari che muovono dal rispetto dell'altro e delle sue proprietà, il mercato è quindi nella sua essenza un ordine che antepone il diritto alla violenza, il riconoscimento dell'altro alla sua negazione.

Molti tra gli autori (da Franz Oppenheimer ad Albert J. Nock, per fare due nomi) che hanno esaminato la cosiddetta «lotta di classe liberale» tra produttori e parassiti, tra quanti ricevono dallo Stato più di quanto danno e chi invece dà più di quanto riceva, hanno aiutato a comprendere come lo statalismo sia cinico e violento, mentre l'ordine degli scambi è basato sul rispetto di limiti ben precisi. Chi utilizza i «mezzi politici» ricorre alla violenza; chi utilizza i «mezzi economici», no. Un capitalista che vive di mercato e solo di mercato può essere egoista, ma non aggredisce il prossimo, mentre ogni struttura di carattere dirigista favorisce l'imporsi di comportamenti opportunisti.

La società liberale esige moralità e, per giunta, finisce per produrre una cultura del rispetto reciproco. Quando Montesquieu, nella sua Bordeaux portuale e aperta al mondo, parlava del doux commerce («dolce commercio») intendeva proprio evidenziare come le relazioni di mercato conducano a migliorare l'animo. Di norma, un commerciante è più cortese di un impiegato delle poste. Un secolo dopo riprenderà questo tema Frédéric Bastiat quando rileverà che in una società di scambi ci si mette al servizio del prossimo: chi si offre sul mercato è a disposizione dell'altro e il suo successo è proprio legato a questa capacità di soddisfare le attese del suo interlocutore.

In questo senso, il mercato è impensabile senza il rispetto di precise regole morali (tenere fede agli impegni, non aggredire l'altro, agire correttamente) e al tempo stesso favorisce il radicarsi di comportamenti responsabili. Per giunta, ogni società libera implica che agli scambi si affianchino ordini comunitari (la famiglia, in primo luogo) in cui vige la regola della condivisione e della gratuità. Mentre lo Stato invade ogni ambito e ci deresponsabilizza, il mercato esige due pilastri: la società estesa degli contratti e dei commerci, che favorisce un'integrazione economica globale, e la società ristretta del «faccia-a-faccia», della generosità, dei rapporti disinteressati. Il mercato connette individui e anche comunità, ed è impensabile una società libera senza questa dimensione cruciale.

La riflessione contemporanea appare sempre più consapevole del rapporto tra moralità e mercato, tra principi etici e autoregolazione sociale. Gli studi sul cosiddetto «capitale sociale» sono una sostanziale ripresa di tale tema: e quando nel 1997 Robert Putnam - nel suo lavoro sulla tradizione civica delle regioni italiane - esamina i presupposti culturali del diverso sviluppo di Nord e Sud è proprio sul rapporto tra economia, morale e società che egli vuole richiamare l'attenzione.

In fondo, bisogna sempre tenere alla mente che quello che chiamiamo «mercato» è solo l'ordine naturale dei rapporti economici che emergono in una società libera.

Non può quindi stupirci il fatto che esso dipenda dalla qualità (anche etica) degli attori che a esso prendono parte.

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