Cultura e Spettacoli

Martone convince con un «kolossal minimalista»

Martone convince con un «kolossal minimalista»

da Pesaro

A volte ci vuole coraggio. Due strade poteva percorrere, Mario Martone, nel mettere per la prima volta in scena a Pesaro Aureliano in Palmira ; l'opera più dimenticata -forse- fra le molte riportate alla luce dal Rossini Opera Festival. Prima: tradurre alla lettera il soggetto, che - narrando la conquista della Persia da parte dell'imperatore Aureliano - avrebbe richiesto un allestimento fastoso, in stile kolossal. Come si faceva una volta; e oggi non si può fare più.

Seconda: ignorare totalmente epoca e ambientazione originali, per un'attualizzazione di luoghi e costumi, meglio ancora se incongrua o provocatoria. Come si fa oggi; e sarebbe ora si smettesse di fare. Ma Martone è stato coraggioso: ha scelto una terza strada, invece. La più difficile. Assecondare il proprio talento all'introspezione e all'analisi psicologica. E, con sovvertimento radicale, trasformare un «peplum» estroverso da grandi battaglie ed epici amori alla dimensione introversa, e tutta privata, di un viaggio nel cuore dei protagonisti. Via i templi, le regge o i campi di guerra - dunque: tutto si riduce ad un trasparente labirinto di teli - il labirinto dell'anima - contro un fondo corrusco - la bufera della vita. I cantanti recitano con gesti precisi e calcolati fin nelle sfumature; capiamo cosa pensano anche se non lo dicono. Una dizione finalmente curata, e i sopratitoli luminosi, ci fanno penetrare nella trama come fosse un dramma in prosa. I costumi ci trasportano nell'esatta epoca storica ma, grazie a colori polverosi, appannati da calde luci radenti, anche alla dimensione astratta dell'interiorità. Il risultato - un «kolossal minimalista», di difficile ma innegabile fascino - sembra una contraddizione in termini. E invece è un successo teatrale. Gli applausi d'un pubblico affaticato, ma anche coinvolto da tre ore e quaranta di «psicologia musicale», premiano alla fine non solo Martone, ma anche la direzione d'orchestra di Will Crutchfield, cui si deve l'edizione critica dello spartito, e soprattutto le belle voci d'un sorprendente tris di giovani interpreti: la tornita e sontuosa Zenobia di Jessica Pratt; l'elegante, pastoso Aureliano di Michael Spyres; l'Arsace tutto baldanza di Lena Belkina. Difficile dire se Aureliano in Palmira potrà riprendere il suo cammino per il mondo. Di certo, a Pesaro, ha dimostrato d'avere buone gambe.

E fiato potente.

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