Cultura e Spettacoli

Nell'America on the road sulle orme di Steinbeck

Il giornalista olandese Geert Mak ha replicato mezzo secolo dopo (paese per paese e motel per motel) il viaggio del grande scrittore. Scoprendo che, in fondo, poco è cambiato...

Nell'America on the road sulle orme di Steinbeck

Per molti la famosa fotografia del marinaio che stampa un bacio sulle labbra di un'infermiera in una Times Square a New York dove tutti scendono in piazza per festeggiare la vittoria della Seconda Guerra Mondiale, è l'icona che meglio rappresenta l'inizio del «sogno americano». Da quel giorno gli Stati Uniti iniziarono una corsa all'oro dei beni di lusso a portata di ogni tasca pubblicizzati da un Ronald Reegan, allora già attore molto amato, che imparò a vendere meglio anche se stesso. Secondo altri fu tutto molto meno romantico: fu l'inizio degli Usa&getta, della trasformazione di una società ancora profondamente puritana in una società di consumo e di finzione.

Di questo avviso è senza dubbio Geert Mak, giornalista e saggista olandese. Con In America , appena uscito per Ponte alle Grazie (pagg. 624, euro 26, traduzione di Franco Paris), ha avuto la geniale idea di ripercorrere le strade degli Stati Uniti seguendo lo stesso itinerario di John Steinbeck che nel 1960 decise di abbandonare la stesura del romanzo L'inverno del nostro scontento per attraversare l'America «on the road» su un camper in compagnia del suo barboncino Charley. Il grandissimo scrittore - autore di capolavori come Uomini e topi , La valle dell'Eden e Furore -, «l'unico genio capace di creare una storia dal caos totale e dalla miseria quasi generale dell'America degli Anni Trenta», per citare E.L. Doctorow, decise di conoscere le nuove trasformazioni di quella che definiva «una terra mostro». Malgrado i suoi libri fossero venduti in milioni di copie (oggi sono adottati come testi scolastici negli Usa), Steinbeck non venne mai considerato dalla critica dei tempi un grande cronista dei tempi.

Di quel viaggio - pubblicato nel 1962 con il titolo Viaggio con Charley e seguito nel '66 dagli straordinari e profetici saggi di L'America degli americani - Mak ha deciso di ripercorrere ogni tappa. Il risultato è più che interessante: una lettura godibilissima, una miniera di fonti e citazioni, un libro sociologico e di viaggio che appassiona pagina dopo pagina, anche se non sempre si fa perdonare le troppe digressioni, soprattutto politiche. Mak è abilissimo nel ritrarre un'America che non è poi del tutto cambiata, rispetto a quella descritta dallo Steinbeck viaggiatore: una cultura basata sul «desiderio, che confonde una buona vita con i beni». Anche negli Usa, come successe nel decennio successivo in Italia, negli anni '50 l'avvento dei televisori nelle case cambiò per sempre la cultura e in meno di un decennio tutti i valori vennero completamente capovolti. Un fenomeno noto, che i sociologi definiscono «ribaltamento silenzioso della società» che Steinbeck notò immediatamente e, ancor di più, com'è naturale, è notato da Mak. Il giornalista segue ogni spostamento dello scrittore, senza mai diventare pedante: non solo replica il percorso città per città, paese per paese, strada per strada, ma soggiorna addirittura negli stessi motel («ora diventati tutti “Inn”, “Spa” e “Resort” con sale per conferenze, piscine e suite»).

Mak sottolinea, da europeo, come negli Stati Uniti oggi esista una vera e propria «cultura del terrore». Non soltanto nei confronti del terrorismo, ma soprattutto dell'Europa: «Gli americani sono molto allarmati dai mass media sul pericolo di viaggiare in Europa. Personalmente mi sto dirigendo a Detroit (360 omicidi all'anno), Chigago (450) e New Orleans (170), ma non c'è un'autorità che dica altrettanto sull'argomento. Al centro dell'attenzione c'è l'Europa come posto più pericoloso del mondo. A queste news alert seguono la pubblicità di un letto pieghevole e di una pillola contro la depressione che te la fa passare entro tre settimane. Ciò ha qualcosa di magico: l'America è buona, tutto il resto è cattivo e malvagio, e chi non vorrebbe essere un angelo?». Perché, sintetizza Mak, «quando tutto al di fuori della tua società diventa pericoloso, allora tutto serve a mantenere alto il livello di adrenalina».

Mak si sofferma molto sul cosiddetto infotainment (l'informazione spettacolo), anche se Norman Mailer in poche righe fu più efficace di lui, coniando il termine factoids , ovvero «fatti e verità fabbricate ad arte che servono unicamente a tenere in vita, a rafforzare e a ornare i pregiudizi dei telespettatori medi con storie sempre nuove e accattivanti». Già Reinhold Niebuhr, autore che Mak cita, nel 1952 nel saggio L'ironia della storia americana scrisse: «Noi americani non ci consideriamo come i potenziali dominatori del mondo, ma come i tutori dell'umanità, nel suo pellegrinaggio verso la perfezione». Il viaggio di Steinbeck fu «una fuga», come lui stesso lo definì, da un'America che nel 1939 aveva bandito Furore ritirandolo dalle scuole e dalle biblioteche, in molti casi censurandolo come «libro osceno nel senso più estremo della parola» (oggi in Italia si può rimediare con la prima splendida edizione integrale edita da Bompiani).

Quella di Mak è una riuscitissima inchiesta «on the road», lontana da quella mitologia a stelle e strisce in cui tutti noi siamo cresciuti e continuiamo a vivere. Le conclusioni, da studioso che si confronta con altri studiosi, giornalisti e gente comune che abita le grandi metropoli o i piccoli centri urbani, parlano di un'America «sul sentiero del tramonto». In America ha anche il grandissimo merito, oltre a quello di indurre alla (ri)lettura di Steinbeck, di citare nella narrazione altri testi di scrittori e sociologi, rendendo quasi indispensabile la conoscenza dei loro testi. Una piccola Babele nel deserto americano.

Twitter @gianpaoloserino

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