Cultura e Spettacoli

No, l'Europa non è morta (se fa il segno della Croce)

Per superare la crisi della nostra civiltà dobbiamo recuperarne il Dna culturale Altrimenti non sarà l'islam del terrore a distruggerci: saremo noi a suicidarci

No, l'Europa non è morta (se fa il segno della Croce)

A proposito dei fatti di Parigi, di quelle azioni di inaudita insensibilità pornografica: giacché ogni atto del terrore è pornografico nell'assoluto anonimato e serialità; nella volgarità, stupidità... Un atto - dal generale Loan che spara alla tempia di un sospettato vietcong, alla strage di Capaci -, che fa apparire i delitti della criminalità e della vecchia mafia documenti di un eccessivo tribalismo umano: comunque sempre appartenenti alla sfera dell'«umano». Invece siamo stati costretti ad assistere, noi che non studiamo il Corano e sappiamo poco di Islam, come i fratelli Kouachi, vestiti di bidume, con gesti non veloci bensì tocchi di mente, da numero di clown nel circo dell'orrore, hanno prima ammazzato i vignettisti (qui le immagini non c'erano; l'immaginazione sì) e poi, come se tirassero con una stecca di biliardo al centro della biglia, giù una raffica al poliziotto inerme. I fatti che hanno stampato in global world «Je suis Charlie», ci hanno scosso come i tuoni, e come i tuoni terrorizzavano i mongoli così hanno agito su di noi instillandoci la paura che ha per slogan: «L'Europa è finita. L'Europa è morta». In realtà se l'Europa non è morta, comunque agonizza. È la Civiltà cristiana, umanistica, rinascimentale a stare supina in sala di rianimazione. Eppure non è morta. Certo, il suo Dna sembra sia stato confuso in chissà quali provette da un Ros in confusione, ma l'Europa della Croce, degli artigiani, degli inventori e dei sognatori non è spacciata; a una condizione: ritrovare con tenacia il proprio Dna.

Sul finire degli anni Novanta, su un muro dell'aeroporto romano di Ciampino, lessi: «Morte ai maghi e alle streghe, W Cristo Re». Era un segnale apocalittico e di riscatto insieme. Sembrava un grido di battaglia di cui appropriarsi per il nuovo millennio, allora lo rubai e lo infilai in un mio romanzo. Ma oggi, chi crede profondamente che il Cristo sia il nostro Re? Procediamo con ordine. I fatti di Parigi ci hanno suggerito una serie di compiti da svolgersi a scuola e a casa.

L'Europa non è stata per deflagrare soltanto con le due guerre mondiali del secolo scorso, o con la crisi di Cuba, o la Guerra Fredda. Già prima della nascita della Storia Moderna, durante «la guerra dei Cent'anni» (tra Francia e Inghilterra), morti, pestilenze, carestie avevano ridotto i vivi a un numero di milioni che risultava metà delle dita di una mano. Poi ci fu la Reconquista: prima con la indimenticabile Giovanna d'Arco (illuminata e presupposto per l'unità della Francia) e, in seguito, la vera e propria reconquista dell'Andalusia nelle mani dei mori, grazie a Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona. Allora, tra il XIV e XV secolo l'Italia era il faro, e se il Continente (Le Goff a proposito scrisse: «Il mondo moderno nacque nel dolore») uscì provato, seppe pure ritrovare lo slancio per il Nuovo Mondo: 1492.

Questi pleonastici elementi storici non mi sono tornati alla mente per l'esclusiva pornografia degli accadimenti parigini. È tempo ormai che il Dna della nostra Civiltà si è smarrito in un'ampolla senza nome: come fosse il senno di Orlando finito sulla Luna. Da ragazzo ricordo Siviglia. Ero andato per le corride. Entrai nel duomo di quella città azzurra e gialla per il colore della sabbia del Guadalquivir. Un prete gesuita predicava: «Los hombres tienen que reconquistar la fe. Los hombres tienen que reconquistar la fe». («Gli uomini debbono riconquistare la fede»). E anche a Roma, in una notte di Natale, in Sant'Andrea della Valle, un sacerdote piccolo e magro non faceva che ripetere: «Il cristianesimo è fragile. È molto fragile. Si può spezzare da un momento all'altro. È fragile, è molto fragile. Basta un niente e si può spezzare...».

Le parole di quel prete erano ipnotiche: serene e ipnotiche. Suggerivano una apocalisse con il candore di poche e semplici parole, identiche a candele consumate. Ecco, dopo aver visto quei fantocci ricoperti di bidume, con mitra che sembravano giocattoli e che invece involgarivano la già esausta Europa, mi è montata una furia. Ho pensato: le chiese cristiane stanno chiudendo! I preti non ci sono più. Ai bambini i nonni e le mamme non insegnano a farsi la croce. Le chiese sono gusci vuoti e tra poco chiuderanno in molte. Anzi, proprio l'altra sera, arrivato sul sagrato dell'abbazia di Fossanova ho letto: «Chiuso». E so, da mio cugino esorcista al quale ne hanno affidate quattro di chiese, a lui che di anni ne conta settantasette, che chiuderanno ancora e ancora e ancora. Ma le chiese devono essere aperte. Ne voglio una pure io che non sono prete. Voglio custodirla come un tesoro. La voglio per forza!

Hanno detto che il Cristo in croce è un cadaverino. Invece ai bambini bisogna dire la verità: il Cristo oltre a essere identico a quello di Grünewald, trafitto e massacrato, è un figo pazzesco che di tutti i divi di Hollywood ne fa man bassa perché Egli è virile e tosto come un grande boxeur. È stato un Tipo che da Dio si è fatto uomo e ha inventato: LA PIETÀ!

Ora non vorrei apparire un fanatico cattolico, io che sono un laico cristianissimo piuttosto critico nei confronti del clero. Dunque: la Civiltà europea (trasformatasi in burocratismo, distruzione dei talenti, conformismo, individualità bandita, eccetera) si recupera non tanto attraverso i «Lumi» bensì con la «manualità», la sensibilità che viene dal contatto con le cose. Per ciò mi servo di Italo Calvino.

Lo scrittore de Le città invisibili prima di morire scrisse una serie di saggi da proporre alle università americane che, nel 1988, uscirono in una edizione postuma dal titolo appunto: Lezioni americane . Allora ecco che in un frullar di umile sapienzalità riemergono i nostri talenti smarriti magari nel web, o chissà dove. «Leggerezza»: sì, quella di Cavalcanti o, aggiunge il sottoscritto, la stupefacente levità dell'Arcangelo nocchiero del Purgatorio. La leggerezza del gioco, dello sport senza anabolizzanti; la leggerezza della preghiera e del silenzio; la leggerezza di fronte a un Piero della Francesca; la leggerezza di tornare a chiamarci con il nostro nome e cognome. «Rapidità»: Robinson Crusoe, cita Calvino. Ma quanti bambini giocano ancora con due tavolette e un barattolo di colla? La nostra Civiltà ha insegnato al mondo a «costruire gli oggetti». Prima della rivoluzione francese le corporazioni di «Arti e Mestieri» davano volto a tutto ciò che abitava il mondo conosciuto. Stuccatori, falegami, fabbri, sarti, merlettaie, indoratori... Dove sono, dove sono!? «Esattezza»: della lingua, di ogni nostra lingua.

Così scrive Calvino: «La precisione per gli antichi Egizi era simboleggiata da una piuma che serviva da peso sul piatto della bilancia dove si pesano le anime». «Visibilità». Scrive Dante: «La fantasia è un posto dove ci piove dentro».

E ricordo ancora che Cristoforo Colombo, irritato da un consigliere di Stato spagnolo, rispose: «Vede tutti questi campanili, palazzi, piazze, strade, statue... Questo è stato costruito da sognatori come noi». «Molteplicità». Il commissario Ingravallo di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana , nei suoi ragionamenti in molisano-laziale-romano, usava l'espressione «una rosa di causali». Ragionava così proprio lui che era una specie di concentrato di un Dna certamente non smarrito.

Ora l'Europa è «una rosa di causali». Per rimuovere la cause bisogna tornare a molti Doveri. Altrimenti non è l'Islam del terrore o cos'altro, a distruggerci.

Saremo noi a suicidarci.

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