Cultura e Spettacoli

In nome della scienza c’è chi giustifica l’infanticidio

Due studiosi italiani su una prestigiosa rivista teorizzano la liceità dell’aborto post natale. Ma così si torna al nazismo e agli spartani

In nome della scienza  c’è chi giustifica l’infanticidio

L’accreditata rivista Journal of Medical Ethics ha pubblicato un articolo di due ricercatori italiani in bioetica presso istituzioni australiane, dal titolo After-birth abortion: why should the baby live? («L’aborto post-natale: perché il bambino deve vivere?»). Dopo aver ricordato che l’aborto è ormai ammesso per ragioni che non riguardano la salute del feto; dopo aver «dimostrato» (si fa per dire) che i feti e i neonati non hanno lo stesso status morale di una persona «effettiva» e aver asserito che è moralmente irrilevante che si tratti di persone «potenziali»; gli autori concludono che la soppressione di un neonato è ammissibile in tutti i casi in cui lo è l’aborto. Proprio per questo Alberto Giubilini e Francesca Minerva parlano di «aborto post-natale piuttosto che di infanticidio, per sottolineare che lo status morale dell’individuo ucciso è comparabile a quello di un feto piuttosto che a quello di un bambino».

Si potrebbe pensare a una provocazione, a una mistificazione volta a screditare qualcuno. La vittima sarebbe la rivista - resa ridicola dall’aver accettato un articolo provocatorio - e chiunque ha preso sul serio questo delirio. Purtroppo non è così. Di fronte alle proteste gli autori hanno risposto sul blog della rivista confermando di aver parlato sul serio. Si sono scusati se hanno offeso qualcuno, hanno sostenuto che l’articolo era rivolto al pubblico accademico, che si trattava di un esercizio di logica volto a mostrare che, dal punto di vista bioetico, non vi sono ragioni morali per non ammettere l’«aborto post-natale» per le stesse ragioni per cui si pratica quello «pre-natale», per esempio perché la famiglia non può sostentare il neonato. «Nell’articolo non abbiamo raccomandato né suggerito alcunché circa ciò che la gente deve fare».

Si potrebbe considerare superfluo proseguire la polemica viste le tante reazioni negative. E invece non lo è, per vari motivi.
In primo luogo, perché le reazioni non sono state unanimemente negative. È facile leggere commenti, anche su blog a larga diffusione, in cui si depreca che i nostri eroi si siano ritirati dietro la trincea della teoria invece di difendere fino in fondo il principio pratico che genitori di neonati sani abbiano il diritto di sopprimerli quando siano sotto la pressione di fattori economici e psicologi. Non solo. Sul blog della rivista si leggono commenti di «scienziati» che accusano di isterismo le reazioni negative.

È vero - dicono - che questi discorsi richiamano le pratiche naziste o la soppressione dei neonati “difettosi” da parte degli spartani - ma questo non deve trattenere dal considerare la questione “razionalmente”. Del resto, sappiamo bene che c’è uno stuolo di “pensatori” del genere schierati dietro profeti come Peter Singer.
Nel difendersi dietro la trincea teorica, i nostri definiscono il loro articolo come un’analisi di scienza bioetica che scioglie una questione “morale”.

Ecco dove conduce l’idea che la bioetica sia il terreno in cui si risolvono “scientificamente” e “oggettivamente” le questioni morali come si risolve un’equazione matematica. Rivelando i pregiudizi su cui si basa la pretesa oggettività della bioetica, Richard Rorty scriveva che l’idea che il bambino sia una persona è dovuta soltanto all’influenza della tradizione ebraico-cristiana. Altro che scienza.
Tra gli aspetti tragicomici di questo falso oggettivismo si può osservare che il clamore suscitato da questo articolo, pubblicato su una rivista di elevato «impact factor», produrrà un numero elevatissimo di citazioni e così fornirà agli autori un buon punteggio (h-index) per superare un giudizio di idoneità a professore universitario con i nuovi parametri bibliometrici “oggettivi”, indipendentemente dal suo indegno livello non solo morale ma intellettuale.

Chi ha studiato i rapporti tra l’eugenetica del Novecento e i movimenti razzisti sa quale dose di insulti costi sostenere che, sebbene gli stermini razziali non siano un derivato diretto dell’eugenetica, quest’ultima ha contribuito a preparare il terreno ideologico e l’insensibilità morale necessari a renderli accettabili e persino giustificabili. Oggi chi confonde la scienza con lo scientismo dovrebbe aprire gli occhi e, ripensando alle tragiche derive eugenetiche su cui si è disonorata la biologia del Novecento, rendersi conto della china tragica su cui stiamo scivolando.

Il fatto che una rivista ritenuta prestigiosa pubblichi un testo degno dell’eugenetica nazista, e che nel mondo scientifico vi sia chi approva, è un segnale a dir poco sinistro.

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