Cultura e Spettacoli

Non pervenuti Mises, Hayek, Leoni e Rothbard Dominano invece le teorie della scuola interventista

Alla faccia del pensiero unico liberale. In Italia, a partire dalle Università (e possiamo immaginare quindi nella grande stampa nazionale), il liberismo nelle sue varianti politiche e soprattutto economiche è, semmai, ghettizzato. Lo denuncia, allarmato dalla formazione culturale della futura classe dirigente, il Libro bianco dell'antiliberismo nelle università pubbliche italiane curato da Andrea Bernaudo e pubblicato, per ora solo in forma digitale ma in futuro anche cartacea, dal centro studi dell'associazione «Lazio Liberale» (e dai prossimi giorni disponibile sul sito www.lazioliberale.it). Un lavoro di militanza liberale - dedicato non caso a Silvio Berlusconi, quale appoggio teorico alla sua politica economica - che mette a nudo la forte marginalizzazione in campo accademico del pensiero di estrazione liberale, «a favore delle culture predominanti della sinistra, marxista sicuramente, ma anche statalista e antiliberale».
Sfogliando il Libro bianco, per prima cosa, risulta subito chiaro il campione limitato dell'analisi empirica: la ricerca prende in esame solo i libri di testo obbligatori nell'ambito degli insegnamenti fondamentali in Economia politica, Scienza delle finanze e Politica economica svolti nelle Facoltà che li prevedono nell'Università “La Sapienza” di Roma. Nonostante ciò (e comunque l'idea del curatore è di allargare il monitoraggio ad altri atenei per pensare a un pamphlet di largo respiro) l'impressione che se ne ricava è del tipo «Liberisti, questi sconosciuti». Considerando i pensatori e gli economisti liberali, liberisti, monetaristi o comunque favorevoli al libero mercato, dal '700 a oggi, nei testi presi in esame, le citazioni (e quindi ancor meno le pagine interamente dedicate: tra l'1,9% e il 9,5% del totale, a seconda del manuale) dei vari Mill, Pareto, Bentham, Einaudi, Friedman o Schumpeter raramente superano la decina, mentre completamente assenti sono i Marshall, i von Mises, i von Hayek, Leoni, Nozick, Rothbard... A prevalere, nei testi adottati alla Sapienza, è la lezione di Keynes e della sua scuola. Teorie keynesiane - come nota Andrea Bernaudo - che «furono sempre più di frequente messe in pratica come meccanismi di intervento pubblico non di mera correzione, ma anche di aperta contestazione del mercato, sulla base di preferenze dirigiste o stataliste, e furono fatte proprie dalle sinistre democratiche di molti ordinamenti occidentali». Lasciando ai margini del dibattito pubblico e dello studio universitario le correnti di pensiero liberali.

Sostenitrici di un'economia probabilmente «imperfetta», ma di certo non fantasma.

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