Cultura e Spettacoli

La nuova Liberazione? Liberarsi dalla retorica

Quando si parla di Resistenza il rischio è quello dell'enfasi che offusca la memoria. Cazzullo cerca di evitarlo raccontando le storie personali

La nuova Liberazione? Liberarsi dalla retorica

Aldo Cazzullo è un giornalista coraggioso, oltre che onesto e scrupoloso, ma si è caricato sulle spalle un fardello davvero pesante: quello di raddrizzare la storia dove questa è più contorta e controversa. Lo ha fatto con un primo libro sul Risorgimento, poi con un secondo sulla Grande Guerra ed ora affronta la questione della Resistenza con Possa il mio sangue servire (Rizzoli, pagg. 399, euro 19) parole tratte da una delle numerose lettere di condannati a morte che costituiscono il corpus di un libro poderoso, appassionante, e a tratti davvero commovente. Già ne La guerra dei nostri nonni Cazzullo ci aveva fatto apprezzare la sua dedizione alla ricerca del documento minore: lettere, cartoline, memorie di ogni genere raccolte con umiltà e che tutte insieme fanno emergere la condizione umana nelle grandi tragedie e nelle trappole della storia. Da queste collezioni e ricostruzioni, lapide per lapide, lettera per lettera, si alza la voce di chi sapendo di dover morire, spera almeno che il proprio sangue non sia versato invano e possa almeno servire.

Esce così un libro di lettura patriottica guidata da un filo conduttore didattico - «I giovani devono sapere…» - che si può così riassumere: la Resistenza aveva ragione, tedeschi e fascisti avevano torto e il revisionismo sul «sangue dei vinti» ci ha francamente stancato, è ora di rimettere le cose a posto e ristabilire il ruolo dei buoni e dei cattivi, per quante possano essere le magagne e anche i crimini commessi. Così, passano in rassegna le nefandezze più note delle due parti e si liquidano senza troppi cavilli temi che restano controversi: perché nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine (scelte da Mattarella come primo luogo da visitare dopo essere stato eletto) la lista dei condannati comprendeva tutto intero il gruppo trotskista di «Bandiera Rossa» e i quadri dirigenti della resistenza monarchica, badogliani, a partire da Montezemolo?

Cazzullo aggredisce il luogo comune secondo cui la Resistenza fu un affare di comunisti col fazzoletto rosso al collo e Bella ciao sulle labbra. E riesce splendidamente nel recupero della coralità dei resistenti: soldati sbandati abbandonati dal re e dallo Stato Maggiore, ragazzi che si rifiutano di presentarsi alla leva della Repubblica di Salò. Una umanità resistente fatta da donne (molte delle quali subiscono torture sadiche indicibili e mutilazioni sessuali), preti, carabinieri, studenti.

Esce così il quadro di una Resistenza civile e militare, fatta di capitani, tenenti, giovani soldati semplici che formano le bande e vanno ad affrontare la montagna fra stenti, torture, rappresaglie. La ricostruzione del sadismo dei tedeschi che uccidono e ardono vivi bambini e donne, è un museo degli orrori anche se fa già parte di una narrazione resistenziale consolidata. Quello che offre Cazzullo è il racconto inatteso e spesso sconvolgente della Resistenza diffusa e minore in cui non comandano soltanto i comunisti, ma in cui prevale un comune sentire patriottico. L'autore denuncia il luogo comune di chi insiste nello svalutare la Resistenza ricordando che l'Italia è stata liberata dagli anglo-americani e non dai partigiani. Si può condividere il fastidio del luogo comune, ma è un dato di fatto che durante le celebrazioni dello scorso 25 aprile - settanta anni dalla liberazione - abbiamo assistito ad un grande spettacolo televisivo di immagini e parole sulla Resistenza, in cui la vittoria degli alleati che hanno liberato la Sicilia, la Calabria, poi Salerno, poi Napoli, poi Roma e che risalivano liberando il resto dell'Italia pagando prezzi altissimi, è stata offuscata, omessa, nascosta. È stato fatto credere in quelle recenti giornate commemorative a chi non c'era, a chi non può ricordare, a chi non sa, che i partigiani (che ebbero anche un ruolo militare in alcuni casi di rilievo) abbiano cacciato tedeschi e fascisti.

In questo errore retorico Aldo Cazzullo non cade, ma l'effetto delle celebrazioni coincidenti con l'uscita di Possa il mio sangue servire è stato sopraffatto dalla retorica del luogo comune. E i luoghi comuni non incidono sulla memoria, ma ne provocano semmai il rigetto infastidito. A Ballarò Massimo Giannini mandò in onda interviste tragicomiche a giovani di varia provenienze livello culturale. Ciascuno di loro interpellato sul significato della Liberazione diceva le bestialità più sconcertanti, più o meno come avevano fatto i giovani universitari intervistati da Veltroni in apertura del suo film su Berlinguer cui veniva chiesto chi fosse stato Berlinguer (un cantante francese? un poeta d'estrema destra?).

Ciò significa che ancora oggi i giovani cui si rivolge direttamente Cazzullo per lo più non sanno nemmeno di che cosa si stia parlando, ma mostrano un fastidio fisico verso la retorica, la celebrazione enfatica e a senso unico. C'è il rischio che il sangue versato alla fine non possa servire. È comprensibile il desiderio di mettere le cose a posto, dire chi aveva ragione e chi aveva torto, ma mi chiedo se sia possibile mettere la verità al riparo della ragione piuttosto che dell'odio, che è una componente volatile e tossica della storia.

Scrivo queste righe dagli Stati Uniti dove, dopo la fine della tremenda guerra civile che spaccò l'America centocinquanta anni fa provocando più di un milione fra uccisi e mutilati, fu compiuta un'opera di ricostruzione della memoria condivisa e oggi non si contano i monumenti al generale Lee ed ai confederati sudisti. Fu una guerra di eccidi fratricidi. Quella italiana fu anche una guerra civile, ma non soltanto perché fu prima di tutto una legittima guerra ai tedeschi che avevano invaso il nostro Paese dopo una resa penosa, ma legittima, alle forze alleate.

Dunque con i tedeschi e le loro azioni disumane non si può fare pace. E neanche con quelli che - pochi - si schierarono dalla loro parte assumendone lo stile assassino e adottandone l'uniforme. E però non si può omettere nemmeno il fatto che la situazione italiana non fosse identica a quella degli altri Paesi occupati dai nazisti, perché l'Italia aveva combattuto al fianco dei nazisti, cambiando (legittimamente ma traumaticamente) bandiera da un giorno all'altro, cosa che portò all'immane sacrificio dei soldati italiani a Cefalonia, che Cazzullo efficacemente racconta.

È un lavoraccio, quello di restituire un senso a ciò che sembra soltanto enfatico o dissennato. In questa prospettiva Possa il mio sangue servire aiuta restituendo vita alle pietre e alle lapidi, ridando voce a chi l'aveva perduta da decenni.

È a nostro parere un lavoro utilissimo ma non definitivo per ridare vita a una memoria offuscata e soffocata dalle celebrazioni e dalla retorica.

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