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Ken Follet: "Ora porto la spy story nell'Inghilterra del '500"

Il bestsellerista continua a scavare nel filone storico. E a trovare tesori. Dopo l'ultimo atto di "The Century Trilogy" tornerà al tempo della regina Elisabetta I

Ken Follet: "Ora porto la spy story nell'Inghilterra del '500"

Un anno basta per riprendersi dalle fatiche di un'opera colossale. Una trilogia ( The Century Trilogy , Mondadori) che è costata a Ken Follett sette anni di lavoro. Per un totale di oltre tremila pagine suddivise in tre volumi. L'ultimo dei quali, I giorni dell'eternità , lo scrittore sta promuovendo in Italia in questi giorni. Conclusa la pausa, l'autore gallese è tornato al lavoro. «Sto scrivendo una spy story . Ambientata nella cittadina fittizia di Kingsbridge, quella de I pilastri della terra . Ma spostata nel XVI secolo, al tempo di Elisabetta I».

Come mai questa scelta?

«Erano in molti a volerla morta. E lei, per sopravvivere, ha praticamente inventato il servizio segreto moderno. E la cosa più interessante è che i metodi di oggi sono gli stessi. Solo il fattore tempo è cambiato: per un dispaccio segreto tra Roma e Londra allora si impiegavano 10 settimane, oggi 10 nanosecondi».

Ancora una volta il suo sguardo è rivolto al passato. Possibile che il presente, drammatico e pieno di sfaccettature, non le interessi?

« I giorni dell'eternità si chiude con la caduta del Muro di Berlino, atto finale della Guerra fredda. Se voglio occuparmi di un periodo storico, come romanziere, questo stesso periodo deve essere chiuso e archiviato. Non posso permettermi previsioni. Per esempio: chi oggi può dire come finirà il conflitto in Siria? E la più generale guerra tra fondamentalisti islamici e Occidente?».

Di storia ne ha studiata molta, in questi anni. Soprattutto quella del «secolo breve». Si è fatto un'opinione precisa sul perché le destre stanno rialzando la testa in tutta Europa?

«È un effetto della recessione. Non c'è niente di male, in questo. Semmai il problema è un altro. Alcuni di questi leader sono xenofobi o almeno vedono l'immigrazione come un problema. E noi europei, in generale, dovremmo stare attenti alle derive nazionaliste che partono da queste premesse. È la Storia che ce lo insegna».

Insomma, secondo lei l'immigrazione non è un problema?

«L'immigrazione esiste da quando esiste l'umanità. Non è un problema se la si guarda da una certa distanza. Pensi a noi, per esempio. In Inghilterra ne abbiamo avuta molta. I romani ci hanno regalato le strade, i normanni le cattedrali, gli ugonotti l'industria tessile. I cinesi e gli indiani, arrivati nel Novecento, ci hanno regalato i primi ristoranti dove si mangiasse finalmente in maniera decente».

Allora torniamo al passato. La trilogia inizia con l'incoronazione di Giorgio V. Da allora a oggi le cose sono migliorate o peggiorate?

«Viviamo in un mondo decisamente migliore di quello in cui vivevano i nostri nonni. Il mio, per esempio, a 13 anni lavorava in miniera. Alla sua età io ero tranquillo e spensierato a scuola. A inizio Novecento, inoltre, non era poi così scontato, anche qui da noi in Europa, che un bambino malato potesse essere portato dal dottore. Oggi questa è la normalità nel nostro mondo. Poi ci sono la libertà, la democrazia e i diritti acquisiti».

Lei ha incaricato otto storici di professione di effettuare una revisione puntuale del suo lavoro. È sfuggito loro qualcosa?

«Non direi. Almeno fino a oggi nessuno si è lamentato. Però a volte la ricerca storica non basta. Ci vuole anche fortuna».

Non capisco.

«Le racconterò un aneddoto. Mi trovavo a Berlino per i 25 anni della caduta del Muro. Durante i festeggiamenti mi viene presentato Miklos Nemeth, che nell'89 era presidente ungherese. Ho iniziato a preoccuparmi. In due scene del libro lui compare. In una delle quali è a colloquio con Gorbaciov. Su quel colloquio non avevo nulla. Le fonti ufficiali non si sono dilungate nei dettagli e io ho immaginato che Nemeth venisse assalito da un sentimento di paura e dal sudore freddo. Ovvio che quando l'ho avuto davanti ho temuto che mi rinfacciasse quelle descrizioni fantasiose. E invece mi ha fatto i complimenti. E mi ha anche chiesto: “Ma come ha fatto a sapere che sudavo freddo? Dov'è che è venuto fuori?”. Io a quel punto ho mentito dicendo che da qualche parte se ne faceva un accenno. Invece avevo solo usato il buon senso e immaginato i suoi sentimenti in quel momento. E per mia fortuna ci ho azzeccato».

E che cosa mi dice del Ken Follett lettore?

«Sono un lettore molto ordinario ma appassionato. Come tanti sto leggendo (e apprezzando) i romanzi di Patrick Modiano.

Prima che vincesse il Nobel non lo conoscevo affatto».

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