Cultura e Spettacoli

«Ora racconto le nozze di Cana viste dall'oste»

da Modena

Miracoli raccontati dal backstage: la vicenda delle nozze di Cana dal punto di vista dell'oste che ha fornito il vino, lo vede finire con sommo sconforto sul più bello della festa e assiste al primo miracolo di Gesù, senza rendersi conto fino in fondo della portata dell'evento. È questo l'argomento di L'oste dell'ultima ora (Wingsbert House, pagg. 88, euro 11), il racconto lungo che Valerio Massimo Manfredi ha presentato ieri al Buk Festival di Modena. Archeologo in primis, poi saggista, romanziere di molti fortunatissimi titoli, nonché divulgatore di mitologia e classicità in tv, Manfredi, ha pubblicato un divertissement (come lui stesso lo definisce) che è anche un piccolo, interessante saggio di «storia collaterale».
Questo suo racconto lungo parla di un grande evento della storia e della cultura umana, però raccontato da un protagonista minuscolo. Come mai?
«Permette di equilibrare la visione di un personaggio enorme come Gesù. Da quando Le Goff ha richiamato l'attenzione su questi aspetti della storia, è bello poter immaginare una figura immensa come questa dal punto di vista di chi lo incontra ma non ne riconosce la divinità e si limita a chiamarlo “il predicatore”: uno dei tanti che si potevano incontrare in quel periodo. Raccontare la storia da un punto di vista “eccentrico” può dare delle soddisfazioni. Pensi al libro Jesus Before Christianity di Albert Nolan, che illumina la portata “sociale” del cristianesimo, contro lo status quo religioso preesistente alla venuta di Cristo».
Lei è innanzitutto uno studioso della classicità. Un tema che, tra festival letterari e bestseller, sembra riscuotere sempre più successo. Come mai c'è in giro questa fame di cultura classica?
«Siamo in un periodo di crisi su tutti i fronti, e tutto concorre a dirci che viviamo in un presente che non si riesce più a stringere fra le mani. È sottile, sfuggente. Invece il passato sta fermo, ma può resuscitare nel momento in cui noi lo riconsideriamo, e in questo è modernissimo. Ci permette di capire che nella realtà c'è un midollo ancora vitale, e che scorre attraverso i secoli. Anche il nostro eroismo quotidiano in fondo deriva da quelle radici profonde».
Da archeologo, come vede il richiamo al patrimonio dei beni culturali come remedium universalis per una salvezza, anche economica, dell'Italia?
«È un patrimonio immenso: non c'è un minuto in cui la storia italiana non abbia partorito capolavori. Ma dire “potremmo vivere solo di quello” è sbagliato, o almeno riduttivo. Non possiamo rinunciare alle realizzazioni tecnico scientifiche, alla creatività industriale italiana. Il chip, che è alla base dei computer l'ha inventato l'ingegner Faggin, che credo sia di Vicenza. Noi sappiamo fare di tutto.

Non è bene che ci rassegniamo a vivere di rendita su un patrimonio ricchissimo come quello che abbiamo».

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