Cultura e Spettacoli

Micronazioni, microlibertà. Se un individuo è uno Stato

Un atlante cataloga le istituzioni più piccole del pianeta: alcune nate per rivolta, altre per scherzo: tutte esprimono una protesta contro iper-regolamentazione e burocrazia

Micronazioni, microlibertà. Se un individuo è uno Stato

Esistono ordinamenti politici minuscoli: da Andorra al Lichtenstein, dalla Città del Vaticano a San Marino. Ma pochi sanno che queste realtà sono perfino di grandi dimensioni se confrontate con decine di «micronazioni» che nel corso dell'ultimo secolo sono apparse sulla scena internazionale sotto forma di repubbliche o monarchie desiderose di essere riconosciute a livello diplomatico.

Un'interessante introduzione a quest'insieme assai variegato di piccole istituzioni si trova ora nell' Atlante delle micronazioni scritto da Graziano Graziani (Quodlibet) che per l'occasione ha ampliato una ricerca compiuta qualche anno e che con questo libro permette di avvicinare un mondo pieno di bizzarrie, rivolte politiche, goliardate, truffe e molto altro.

L'idea che tiene assieme queste esperienze pur tanto diverse è che sia possibile, per un piccolo gruppo o anche per un solo individuo, proclamare la propria indipendenza. Qualche anno in Italia si parlò molto di Seborga, paesello della Liguria orientale che nel 1729 fu acquisito da Vittorio Amedeo II di Savoia senza che quella cessione, però, fosse mai registrata; e così nel 1960 il Principato ha iniziato a rivendicare l'indipendenza. E in questi ultimi mesi i giornale hanno dato spazio a Liberland, dopo che il politico ceco Vit Jedlicka ha scoperto un'area tra Serbia e Croazia che sembra sfuggire alle rivendicazioni nazionalistiche degli uni e degli altri. Ma il panorama è assai variegato. Al largo dell'Australia, ad esempio, c'è un regno che fu inventato dalla comunità gay dopo scelte legislative che essa contestò con forza. Per sottrarsi a norme considerate ingiuste, alcuni omosessuali australiani individuarono qualche atollo (abitati solo in estate) e ne dichiararono l'indipendenza. Così come ha fatto Salvatore «Doddore» Meloni, figura nota dell'indipendentismo sardo, quando nell'agosto del 2008 affermò che l'Italia non vantava alcuna legittima pretesa sull'isoletta di Malu Entu.

Com'è ovvio, queste realtà sono spesso espressione di sogni politici e disegni rivoluzionari, ma in qualche caso tutto questo sembra intrecciarsi con un vero spirito imprenditoriale. E così non è strano che Peter Thiel (uno dei fondatori di Pay Pal) abbia destinato più di un milione di dollari a favore del Seasteading Institute, che studia la possibilità di dare vita a città galleggianti fuori dalle acque territoriali, o che anni fa vi fosse un Dominio di Melchizedek collocatosi tra Pacifico e Antardide che vendeva passaporti, apriva banche (solo sulla carta) e che poi si è trovato al centro di vari imbrogli e inchieste giudiziarie.

Se gli Stati moderni appaiono apparati repressivi che inibiscono perfino le scelte più elementari - da lavorare come tassista ad aprire una banca - e se la competizione internazionale spinge capitali e imprese a dirigersi dove sono meno maltrattati, non è sorprendente che vi sia chi pensa a nuovi inni e inedite bandiere: al fine di lasciarsi alle spalle quelle prigioni. Anche se poi avvicinare queste realtà significa spesso fare i conti con una sequela di repressioni: dove il diritto internazionale è solo una maschera che la forza degli Stati usa per giustificare la negazione di libertà anche elementari.

E così l'isola (artificiale) delle Rose posta al largo di Rimini nel 1969 fu fatta saltare in aria da 75 chili di esplosivo - su decisione del governo Rumor - collocato dai sommozzatori della marina militare, mentre la Repubblica di Kalakuta inventata dal musicista Fela Kuti fu repressa con la violenza da mille soldati della polizia nigeriana. Quali tra queste utopie sopravvivono e reggono nel tempo? Spesso sono quelle che in qualche modo negoziano con il potere statale «esterno», come nel caso del quartiere hippy di Christiania (a Copenhagen), o accettano di mantenersi su un tono semi-serio e di conseguenza inoffensivo: come nel caso del Principato (artistico) di Ladonia.

Perché è senza dubbio vero che alcune di queste realtà non sono mai state prese sul serio nemmeno dai loro fautori, trattandosi di invenzioni sul confine del paradosso. Questo comunque non toglie che perfino simili istituzioni siano un segno dei tempi, dal momento che il moltiplicarsi di tali iniziative ci aiuta a capire quanto le categorie concettuali elaborate da Jean Bodin e Thomas Hobbes siano oggi logore. La pretesa dei governanti di Stato di guidare un'istituzione «sovrana», a cui tutti i tedeschi o gli italiani devono per forza obbedire, cozza ormai con sentimenti e valori diffusi. In fondo, anche quando sembrano più un gioco letterario che una sfida ai poteri costituiti, le nazioni individuali o poco più censite da Graziani testimoniano un fatto cruciale: e cioè che l'età postmoderna è refrattaria al dominio di alcuni su altri, all'obbligo politico, al trionfo della costrizione regolamentare e burocratica.

C'è insomma una brezza di libertà che proviene da queste pagine e che ci può aiutare a immaginare un ordine internazionale un po' diverso, migliore, più variegato e multicolore.

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