Cultura e Spettacoli

"Prendete, ecco il mio corpo" E l’arti-star Abramovic si rivelò

Al Pac di Milano una mostra evento dell’artista serba. La più famosa performer del mondo presenta il proprio «metodo», tra suggestioni «new age», furbizie massmediatiche e pose mitomani

"Prendete, ecco il mio corpo" E l’arti-star Abramovic si rivelò

«Energia» è la parola più utilizzata nell’affollatissima conferenza stampa che ha introdotto la settimana milanese di Marina Abramovic: un termine coniugabile sia in chiave New Age dai numerosi adepti olistico-spirituali che parlano di purezza trasmessa dai minerali e amenità simili, ma anche dell’indiscutibile forza dell’artista serba, una rockstar della performance, transitata dall’alternativo al mainstream e adorata dal suo pubblico trasversale e multigenerazionale. Marina - tutti la chiamano così saltando confidenzialmente il cognome - è un’attrice consumata che sa stare in scena come pochi. Magnetica, sicura di sé, simpatica e generosa, parla in inglese ma sa l’italiano e corregge la stentata traduzione perché ossessionata dalla precisione terminologica, nonostante il rigoroso look nero condiviso con le sciure radical chic esplode in risate chiare e pacche sulle spalle da educazione slava. Soprattutto, ha un fisico pazzesco che solo le malelingue attribuiscono all’ottimo chirurgo estetico da cui si serve e non alla disciplina e all’esercizio quotidiano che accompagna la cura del corpo. Certo l’espressione un po’ fissa ricorda quella di Cher ai tempi di Belive, ma è chiaro che chi sceglie di esibirsi, spesso nuda, a quasi 65 anni non può certo presentarsi molle e cascante.
In ogni caso la sua presenza riesce a catalizzare tutta l’attenzione e agli altri non resta che sciogliersi in un effluvio di frasi fatte («Oddio, come sono emozionato») e interminabili ringraziamenti, dall’assessore fino all’ultimo assistente che occupano metà della conferenza stampa quando sarebbe stato più interessante sentir parlare la prestigiosa ospite, che il giorno prima di questo monumentale tributo non ha avuto alcun problema a duettare con Valeria Marini a Quelli che il calcio. La signora conosce bene le regole della comunicazione e del consenso.
The Abramovic Method - il titolo della mostra ospitata dal Pac, a Milano - non è quindi il licenziamento di Villas Boas da parte del magnate russo proprietario del Chelsea, ma l’omaggio che Milano e l’Italia dedicano alla più importante bodyartista ancora in attività. Lei peraltro con il nostro Paese ha sempre intrattenuto un rapporto privilegiato, dalla partecipazione a Contemporanea nel 1973 alla prima mostra nella galleria di Inga-Pin a Milano nel ’74, quindi il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del ’97 fino all’ultimo marito. Al centro, l’evento del Pac (aperto da mercoledi 21 marzo fino al 10 giugno), riduttivo definirlo una mostra, dove Marina presenta il progetto che rappresenta meglio il suo nuovo corso inaugurato con lo strepitoso successo di The Artist is Present, che al MoMA di New York ha totalizzato oltre 300mila visite e dove l’artista sedeva in silenzio, faccia a faccia a un solo interlocutore cercando di carpirne segreti, emozioni e stati d’animo. Trionfo testimoniato dal film dallo stesso titolo che sarà presentato in anteprima a Milano il 22 marzo, per poi uscire in luglio in dvd da Feltrinelli Real Cinema. Si dice che The Artist is Present sia in odore di nomination per il prossimo Oscar.
La partecipazione del pubblico è diventata l’elemento fondamentale e necessario allo svolgersi dell’azione, dove Marina è più regista che attrice. Ieri 21 giornalisti si sono offerti volontari per partecipare alla nuova performance. Ci sono alcune regole da rispettare: niente telefoni, computer o iPad, via orologi, si indossa un camice bianco e si sottoscrive con l’artista un vero e proprio contratto per il quale le si regalano 180 minuti di tempo. Si continuerà per diversi giorni, sempre su prenotazione (ha detto Stefano Boeri di aver invitato per sabato prossimo i politici, chissà se verranno), e i gesti da ripetere saranno semplici ed essenziali: seduti, sdraiati, in piedi, muniti di una cuffia completamente insonorizzata, a contatto con materiali naturali come legni, pietre, cristalli e minerali. Di fronte il pubblico potrà guardare, con puro spirito voyeuristico, questa strana discesa verso il nulla, quasi un antipasto della morte, pensiero che da un po’ di tempo ossessiona Marina, tanto da aver lasciato scritte le istruzioni per un eventuale decesso in calce alla biografia di James Westcott, Quando Marina Abramovic morirà (Johan&Levi): un corpo vero più due imitazioni da collocare in diverse parti del mondo, My Way cantata da Antony, una grande torta in marzapane con le sue dimensioni e sembianze da distribuire agli ospiti.

«Prendete e mangiate, questo è il mio corpo», siamo alle soglie della mitomania.

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