Cultura e Spettacoli

Il proustiano Piperno contro la retorica della «Madeleine»

Il proustiano Piperno contro la retorica della «Madeleine»

Sulle terze pagine dei quotidiani, negli «agili» sunti di storia della letteratura circola un'ipotesi press'a poco di questo tenore. Il passato, come direbbe il signor de La Palisse, non c'è più; però di tanto in tanto può ripresentarsi. Basta un certo biscotto, una vecchia fotografia, uno strano campanile ed eccoci precipitati in una luminosa mattina di tanti anni fa. Questa ipotesi, che pian piano è diventata una verità, ha il suo gran cerimoniere in Marcel Proust, dietro il quale manovra nell'ombra il suo ideologo, il filosofo Henri Bergson. Entrambi ci assicurano che il tempo perduto, grazie alla cosiddetta «memoria involontaria», può essere ritrovato, e che l'artista può rendere tale tardiva riappropriazione qualcosa di permanente.
Bene: per Alessandro Piperno si può tranquillamente prendere questa storiella edificante e gettarla nel cestino della spazzatura. Perché è falsa da almeno due punti di vista: filosofico e filologico. La memoria involontaria è una facoltà inaffidabile, vagamente puerile e soprattutto straordinariamente effimera. Per un istante si torna in possesso di ciò che non c'è più, poi lo si perde ancora, forse per sempre. La memoria involontaria, per Piperno, è «doping emotivo, una sorta di seduta spiritica prêt-à-porter». E comunque l'autore della Recherche non ha mai creduto che il tempo possa essere ritrovato, né che l'artista possa eternare le epifanie che il cielo gli manda. Proust, come Leopardi, era un nichilista e non si faceva illusioni. Tutto muore, tutto morirà.
Fresco della vittoria al premio Strega, Piperno non è nuovo ad incursioni nell'ambito degli studi proustiani, avendo qualche anno fa dato alle stampe un saggio intitolato Proust antiebreo. Visto che il volume era esaurito, l'autore ha deciso di rielaborarlo e di aggiungervi un capitolo sulla memoria, anzi Contro la memoria (Fandango, pagg. 262, euro 16), nel quale si esce dal campo prettamente letterario per aggredire un'altra pia illusione: quella secondo cui la facoltà di ricordare è uno strumento di salvazione, nonché una sorta di giusta punizione inflitta a chiunque abbia finto di non vedere quando invece era essenziale tenere gli occhi ben aperti. Abbiamo dunque una «giornata della memoria» e il «dovere di ricordare», ma siamo certi che tali espedienti possano davvero rappresentare una barriera con cui prevenire l'ingiustizia futura?
Se il Virgilio di Piperno, nel viaggio attraverso i sotterranei proustiani, è un giovane Beckett, per andare contro la memoria c'è bisogno di una testa d'ariete non solo al di sopra di ogni sospetto, ma che dalla rimozione dei luoghi comuni che soffocano il processo del ricordo abbia tutto da perdere: nientemeno che Primo Levi, sorpreso a diffidare, per l'appunto, della memoria.
Scritto in un italiano che sembra (e forse è) direttamente tradotto dal francese, il saggio di Piperno ha il grande pregio di fluidificare un numero consistente di stereotipi sul ricordare, e di riaprire il dossier relativo agli aspetti più filosofici dell'opera di Marcel Proust. Naturalmente qua e là si può dissentire; si può osservare, per esempio, che il mondo di Proust sarà pure un mondo di fantasmi, ma di fantasmi realissimi; e che la Recherche non vuole ricondurre i fatti trascorsi alla loro origine storica: ciò farebbe di Proust un positivista in ritardo, che combatte con armi spuntate. Ma indubbiamente dalle pagine di Contro la memoria emerge un Proust meno decadente e più illuminista, nonché meno stregonesco e più vicino a noi, che abbiamo imparato a subodorare quanto di ingenuamente consolatorio vi sia in chi cerca di contrastare l'oblio con la letteratura, lanciando la cavalleria contro i carri armati.
Molto più spinose le questioni che riguardano il ruolo della memoria nella Storia. Tutto ciò che è umano non è mai completamente affidabile, e la migliore medicina può trasformarsi in un veleno.

Sia benvenuta la proposta di negare l'onnipotenza salvifica della memoria; quanto a negarne il semplice potere, meglio essere più cauti; almeno finché non avremo a disposizione un'utile alternativa.

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