Cultura e Spettacoli

Quando l'Italia voleva partire a razzo per conquistare lo spazio

Fascisti su Marte? No, veneziani su Marte. Insomma la Serenessima che non contenta di conquistare i mari si lancia alla scoperta del sistema solare

Fascisti su Marte? No, veneziani su Marte. Insomma la Serenessima che non contenta di conquistare i mari si lancia alla scoperta del sistema solare. Del resto non fu un caso se il grande astronomo Galileo soggiorno a lunga a Padova, sede dell’ateneo della città lagunare. Ovviamente è un gioco, un’ucronia un po’ bislacca.

Però davvero l’Italia nella storia della missilistica in generale, e dei voli spaziali, più in particolare, ha un ruolo decisamente più importante di quello che le si attribuisce di solito. Per rendersene conto basta dare un’occhiata a "Storia italiana dello spazio" di Giovanni Caprara (Bompiani, pagg. 488, euro 19). Come spiega bene il sottotitolo -"Visionari, scienziati e conquiste dal XIV secolo alla stazione spaziale" - il libro ricostruisce secoli e secoli di scienza missilistica made in Italy.

E se il primo razzo citato con chiarezza nelle cronache occidentali (il primato dell’invenzione va ai cinesi) è proprio frutto dell’ingegno dei veneziani, che nel 1379 per riuscire a riconquistare Chioggia lo spararono sul tetto di una torre occupata dalle forze veneziane e la incendiarono, va detto che come in molti altri campi il primato nel settore pirotecnico è stato della nostra penisola molto a lungo. Ancora all’inizio del settecento i pirotecnici più famosi d’Europa erano i quattro fratelli Ruggieri di Bologna (sebbene i tedeschi avessero già iniziato a dire la loro con la progettazione di razzi a più stadi). Poi come spesso accade quando si passa dalla maestria artigiana alla necessita di creare delle vere e proprie industrie gli italiani persero lentamente terreno. Ancora ai primi del novecento nel nostro Paese si contavano numerosi teorici e discreti matematici attenti a quelli che ormai stavano diventando i primordi della missilistica militare e aerospaziale. Però mancavano i mezzi e i fondi. Così mentre la sperimentazione tedesca che avrebbe portato alle V1 e alle V2 di Wernher Von Braun avanzava contando su capitali quasi illimitati, Gaetano Arturo Crocco e il figlio Luigi lavoravano in via Panisperna (sì proprio dove Fermi ha posto le basi del suo Nobel) alla prime camera di combustione per razzi a propellente liquido prodotta in Italia. Troppi rischi, qualche incidente ed un budget ridicolo. Così come l’ Associazione piemontese razzi capitanata da Alberto Fenoglio che fece volare un’areorazzo (con cui a momenti Fenoglio si ammazzò) e diversi prototipi di missili a più stadi. Ma in clima di autarchia la battaglia dei materiali era insostenibile, e poi arrivo la guerra...

Era destino che sulla luna ci andasse qualcun’altro. Eppure anche pensando ai viaggi spaziali veri e propri un tocco di italianità non manca. Quasi tutte le sonde a lunga distanza utilizzano per viaggiare più velocemente un procedimento noto come fionda gravitazionale. Ad averne l’intuizione Gaetano Arturo Crocco che presentò uno studio di rotta interplanetaria che sfruttava i campi gravitazionali di più pianeti, al congresso astronautico del 1956 a Roma. La Nasa infatti, che i mezzi li aveva, prese appunti e da allora chiama quel tipo di voli Crocco Mission. Insomma anche in salsa spaziale si può parafrasare quel triste epitaffio: mancarono i mezzi non il valore...

o le idee.

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