Cultura e Spettacoli

Quegli oggetti di culto che raccontano i film

Dal divano di "Colazione da Tiffany" all'automa di "Hugo Cabret": così si marchiano le opere

Quegli oggetti di culto che raccontano i film

Di solito noi spettatori normali non ci facciamo caso, forse neanche i cinefili, eppure per chi scrive il film, e per chi lo gira, esistono oggetti-chiave, non solo necessari, ma fondamentali per la storia che si racconta. Perché rappresentano un elemento di svolta nella trama, perché permettono una identificazione del protagonista, perché dicono esattamente a chi guarda, con una sola inquadratura, dove siamo in quel momento, in che luogo e in che epoca, qual è la classe sociale o culturale dei personaggi, quale il loro stile di vita o il carattere, addirittura in quale genere cinematografico o in quale filone collocare l'opera. Pensiamo al thriller, o all'erotico, o al giallo psicologico: una cravatta (gli abbinamenti provati da Richard Gere in American Gigolò ), l'arredamento di un loft (il suo appartamento spiega meglio di qualsiasi descrizione chi è Mickey Rourke in Nove settimane e mezzo ), bambole e pupazzi (ci si può declinare mezzo cinema dell'orrore), una certa scarpa (senza bisogno di citare il monologo di Nanni Moretti), la bicicletta («Neorealismo!»), il treno (che inizia a correre coi fratelli Lumière e continua col treno d'artista di Doug Aitken, un Nomadic Happening coast to coast).

Basta una mela, come le «incredibili mele e pere dipinte da Cézanne» che Woody Allen in Manhattan mette tra le dieci cose per le quali vale la pena vivere. O un accendino, come il Ronson attorno a cui ruota il meccanismo perfetto di Delitto per delitto . Due oggetti citati da Godard in un'opera diventata culto, e che compongono il titolo di un saggio difficile e splendido dello storico del cinema Antonio Costa: La mela di Cézanne e l'accendino di Hitchcock (Einaudi). Il cui sottotitolo spiega tutto: «Il senso delle cose nei film».

Gli scacchi di Provaci ancora, Sam e quelli di Casablanca : avete notato che la partita è la stessa? La chiave di Mulholland Drive e quella dell'automa di Hugo Cabret : che mondi, e che storie, aprono? E il divano dell'appartamento di Holly in Colazione da Tiffany : chi si è accorto che è una vasca da bagno tagliata a metà? Quanto il design ha influenzato il cinema di massa, e quanto il cinema ha fatto diventare di massa oggetti di design?

Ecco, attorno queste domande si sviluppa il saggio di Costa che ci spiega in che modo il cinema «arreda» i mondi in cui si ambientano le storie, e il significato narrativo e simbolico degli oggetti nei film. Fra specchi, finestre e occhiali (la metafora dei dispositivi ottici è scontata: rinviano alla natura del cinema che ci fa guardare oltre i limiti della visione ordinaria), fra prospettive e metamorfosi (milioni di evoluzione umana raccontati in un fotogramma, quello che separa un osso lanciato in aria da un'astronave), fra un bicchiere di latte (che chi ha visto Il sospetto di Hitchcock ricorderà per tutta la vita) e oggetti di culto come il Juicy Salif di Philippe Starck. Uno spremiagrumi costosissimo e inutile che, quando compare in un film, non è mai per caso.

E del resto, dopo aver letto questo libro, anche i film che avete visto dieci volte non vi sembreranno più gli stessi.

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