Cultura e Spettacoli

"Quei compagni disobbedienti eliminati dai partigiani rossi"

Un libro spezza la cappa di silenzio sulla vicenda di "Gianna" e "Neri" uccisi dopo i fatti di Dongo. Anche l'Anpi ha cancellato i loro nomi

"Quei compagni disobbedienti eliminati dai partigiani rossi"

Il 7 maggio 1945, sparisce nel nulla Luigi Canali, il capitano «Neri», comunista e capo carismatico della Resistenza comasca, che aveva avuto un ruolo di primo piano nelle vicende della fine di Mussolini: dall'arresto all'esecuzione. Il 23 giugno viene gettata da una scogliera a picco sul lago la sua compagna di battaglie e di vita, la partigiana Giuseppina Tuissi, «Gianna». Insieme avevano lottato per un ideale condiviso gli orrori della carcerazione e della tortura, insieme avevano contabilizzato l'oro di Dongo sottratto al Duce. Per poi accorgersi, in ultimo, che il partito per il quale avevano sacrificato se stessi, era un universo fatto di violenza dove regnava la legge del terrore. Insorti contro l'illegalità, i furti degli ori e dei documenti, erano stati assassinati. Lui, per aver rotto la linea dell'obbedienza assoluta, lei per aver cercato, con ostinazione, la verità sulla sua morte. Entrambi, dopo essere stati condannati a morte da un tribunale partigiano rosso, colpiti dall'accusa di essere traditori. Mirella Serri, nel suo nuovo Un amore partigiano. Storia di Neri e Gianna eroi scomodi della Resistenza (Longanesi, pagg. 220, euro 16,40), solleva il coperchio su questa pagina del comunismo italiano a lungo rimossa, dedicando una particolare attenzione alle figure femminili. Scrive l'autrice: «La tragica avventura di “Gianna” e “Neri” si presenta non solo come un episodio della Resistenza ma anche della post-Resistenza, un periodo durato anni, in cui ci si rifiutò di far luce su quell'intreccio di omertà, paure e reciproche coperture che alla fine frutteranno carriere, riconoscimenti onori». E, a loro riguardo, parla di una «cancellazione della memoria» che tuttora resiste.

Serri, finora la si conosceva come storiografa, ma questo libro segna il suo esordio come narratrice di storie...
«Ho cercato di raccontare una storia che, di per sé, ha una trama avvincente. Ci sono tutti gli ingredienti di una grande vicenda umana: l'amore, il tradimento, il dramma. Nel libro, ho raccontato il primo amore di “Gianna”, quello con il partigiano milanese Gianni Alippi, che viene ucciso dai fascisti, e nel cui ricordo lei assume quel nome di battaglia. C'è poi la relazione di “Gianna” con il capitano “Neri”, che viene avversata dai loro stessi compagni di battaglia. Ho raccontato anche le molestie che “Gianna” riceve da un garibaldino, Siro Rosi. Ne risulta il ritratto di un ambiente, che è come lo raccontava Calvino: nei gruppi partigiani, del resto, c'era di tutto: i ladri, i gentiluomini, e gli assassini. Poi, naturalmente, ci sono anche le violenze che “Neri” e “Gianna” subirono, in carcere, da parte dei nazifascisti».

Lei ha incrociato la tragedia di “Neri” e “Gianna” con l'altro grande dramma che corre in parallelo, anche temporale: l'epilogo di Mussolini e Claretta.
«Tutti gli storici, anche di sinistra, come Franzinelli, che si sono soffermati sulla figura di Claretta, l'hanno celebrata come un tipo di donna interamente dedita al proprio uomo. Ma la personalità autentica della Petacci è quella che emerge dalle sue lettere a Mussolini del periodo di Salò. Il Duce stesso riconosce che lei è la persona più odiata dagli italiani, più di lui stesso. E in effetti è vero. Era detestata tanto dai fascisti quanto dagli antifascisti. Claretta, più antisemita e filonazista dello stesso Duce, sembra avere in pugno Benito. Gli chiede di lasciare la moglie, Donna Rachele, e lui negli ultimi tempi sembra essere disponibile a tale soluzione. Poi, alla fine, lei scappa con otto milioni: vabbé, si doveva pure mantenere, ma, insomma... Agli storici con i pantaloni è sempre piaciuta Claretta, donna devota, che si sacrifica per amore del suo uomo. Per carità, c'è anche questo, ma pure dell'altro».
E a lei la Petacci pare l'esatto contrario di «Gianna», donna idealista in tutto e per tutto.
«Ecco, “Gianna” si sacrifica veramente per amore. Viene imprigionata dai partigiani garibaldini che, dopo la scomparsa di “Neri”, le impediscono di andare in cerca del suo uomo. Una volta liberata, lei però insiste nella sua determinazione e, perciò, viene uccisa nel giorno del suo ventiduesimo compleanno».
Qui si giunge all'apice del dramma, l'eliminazione di «Gianna» e «Neri» da parte dei loro stessi compagni. Lei scrive che «i mandanti e gli assassini sono passati nei libri di storia come protagonisti eroici della lotta armata». Perché è potuto accadere?
«Va ricordato che le loro famiglie erano comuniste, soprattutto quella di “Neri”; credono nel partito, nella sua onestà, e continuano, per anni, a inviare petizioni per cercare di fare luce sui delitti. La madre di Canali incontrò Togliatti, poi sua moglie Rita Montagnana. Togliatti promise che avrebbe reso giustizia, ma non fece nulla. Ancora oggi, sul sito Internet dell'Anpi, spicca l'assenza delle biografie di “Neri” e “Gianna”. Mi domando perché e mi piacerebbe partecipare a un dibattito con l'Anpi, per discutere. Per converso, sul sito della stessa Associazione personaggi come Vergani, Gorreri, Moretti, che hanno un ruolo in queste oscure trame, sono tutti elogiati. Sono rimasta impressionata, ad esempio, dalla figura di Giuseppe Frangi, il partigiano “Lino”, che montò la guardia a Mussolini l'ultima notte. Sembra in preda a una follia omicida».
E lei, allora, come li descriverebbe i responsabile della fine di «Gianna» e «Neri»?
«Una combriccola dedita al malaffare.

Da questa vicenda, d'altra parte, emergono molti interessi personali che con la politica hanno nulla a che vedere».

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