Cultura e Spettacoli

Quelli che... «il Migliore» era un democratico (solo un po' stalinista)

La storia non ha fatto sconti al leader comunista, gli storici invece sì: infatti cercano di rivalutarlo

Quelli che... «il Migliore» era un democratico (solo un po' stalinista)

Il 21 agosto di cinquant'anni fa moriva a Yalta (Crimea) Palmiro Togliatti, figura primaria del comunismo italiano e internazionale. Se ci si domanda cosa rimane oggi della sua opera, non si può che rispondere in modo negativo. Naturalmente siamo ben lontani da sottovalutare la sua importanza storica, ma essa non presenta alcunché di benefico e di positivo. È stupefacente perciò osservare che, dopo il catastrofico fallimento del comunismo, fallimento a cui anche Togliatti ha dato il suo peculiare contributo, vi sia ancora da parte di alcuni studiosi l'ostinata volontà di rivalutarne il pensiero e l'azione, attivando verso di lui una sorta di storicismo giustificazionista.

Non ci interessa demonizzare la figura di Togliatti, però non possiamo non contestare l'esito di questa operazione, che si risolve, per quanto riguarda la seconda parte della sua vita, nell'insostenibile tesi della democraticità del PCI e, appunto, del suo leader, Palmiro Togliatti. Ricordiamo qui la ristampa, con prefazione inedita di Togliatti e il partito di massa (Castelvecchi) di Donald Sassoon; l'epistolario di Togliatti degli anni 1944-1964, La guerra di posizione in Italia (Einaudi), a cura di Maria Luisa Righi e Gianluca Fiocco, con prefazione di Giuseppe Vacca; la nuova edizione della biografia Togliatti di Giorgio Bocca (Feltrinelli), con prefazione di Luciano Canfora; e anche qualche intervento giornalistico, tra cui ricordiamo, nei mesi passati quello di Francesco Piccolo, Rivalutare Togliatti apparso su La lettura , inserto del Corriere della Sera .

Il nocciolo comune di questa tesi, sia pur articolata da ogni autore con interpretazioni e sfumature diverse, si riassume nel giudizio secondo cui il comunismo italiano, diversamente da qualsiasi altro comunismo europeo, avrebbe fornito un contributo decisivo alla nascita e al mantenimento della democrazia nel nostro Paese. Ora non c'è dubbio che con la partecipazione alla lotta contro il nazifascismo i comunisti, insieme con altre forze politiche, ebbero il merito di portare l'Italia sulla via della libertà dopo vent'anni di dittatura. Affermare però che essi, a cominciare dallo stesso Togliatti, fossero animati da uno spirito democratico è del tutto fuorviante. In realtà, grazie alla collocazione dell'Italia nell'ambito occidentale, i comunisti furono costretti a rinunciare alla lotta rivoluzionaria contro il capitalismo e contro la società borghese e ad accettare la liberal-democrazia. Rivendicarono perciò, in quanto comprimari artefici della Resistenza, dell'Assemblea Costituente e della successiva Costituzione, la legittimazione democratica del loro partito. Fecero, cioè, di necessità virtù, e dunque non furono dei veri democratici. Rimasero sempre prigionieri di una concezione strumentale del rapporto tra democrazia e socialismo. Vista l'impossibilità di conquistare il potere politico, Togliatti, infatti, avviò la strategia gramsciana diretta a controllare il più possibile una parte della società civile e istituzionale, con una pressante egemonia culturale (università, scuola, editoria, giornali), che si tradusse nella condanna della società liberale e borghese: una riserva di fondo che non venne mai meno.

Ecco dunque la «doppiezza» togliattiana, che se da un lato portò il PCI a non sovvertire il regime esistente, dall'altro lo spinse continuamente a predicare la sua trasformazione in senso comunista, senza mai giungere ad una rottura definitiva con l'Unione Sovietica, da cui continuò a ricevere sino all'ultimo anche un ininterrotto aiuto finanziario. È necessario ricordare l'avallo di Togliatti, e di quasi tutti i comunisti italiani, al colpo di Stato in Cecoslovacchia (1948), alla repressione sanguinosa della sollevazione popolare di Berlino Est (1953) e di quella ungherese (1956)?

Fino alla fine degli anni Sessanta, pur con alcuni distinguo, i comunisti italiani continuarono a identificare il marxismo con il comunismo e il comunismo con lo stalinismo. Così come Stalin rimandava a Lenin e Lenin rimandava a Marx, allo stesso modo, per converso, il marxismo giustificava il leninismo, tanto quanto il leninismo giustificava lo stalinismo: tranne rarissime eccezioni, tutti i comunisti erano stalinisti, a cominciare proprio da Togliatti. Centinaia di migliaia di libri, di opuscoli, di giornali, di comizi, di manifesti, di volantini, di ritratti, di documenti di partito hanno per trent'anni testimoniato la deferenza verso il dittatore.

Questa incapacità di uscire dall'universo stalinista spiega perché non vi sia stata in Italia alcuna Bad Godesberg, vale a dire una socialdemocratizzazione capace di sradicare il PCI dal suo ceppo leninista. Ancora nel 1978, in un'intervista a la Repubblica , Enrico Berlinguer poteva parlare della «ricca e permanente lezione leninista».

La «via italiana al socialismo» concepita da Togliatti, vale a dire la pretesa di superare la democrazia liberale con una democrazia superiore, era una strategia destinata al fallimento. Non a caso essa è poi sfociata nel compromesso storico, ovvero nella convergenza «totalitaria» del cattocomunismo, la cui natura era avversa ad ogni ratio e ad ogni ethos liberali. Disegni politici che hanno fatto perdere all'Italia qualche decennio di maturità democratica e che oggi, di fronte alle macerie del comunismo, appaiono per quello che erano: dinosauri convissuti per qualche tempo con la modernità. Pretendere, con le cosiddette «riforme di struttura», di fuoriuscire dal capitalismo mantenendo al contempo la democrazia; di avviare una politica anti-capitalista all'interno di un sistema capitalista, era una quadratura del cerchio che solo chi aveva fatto propria la concezione miracolistica della dialettica (marxista) poteva pensare di sciogliere.

Come aveva già profetizzato quarant'anni fa Augusto Del Noce, il partito proletario di massa creato da Togliatti si è trasformato nel frattempo in un radicalismo culturale di massa, i cui quadri dirigenti sono stati salvati ora da un ex democristiano. Come tutti i marxisti, Togliatti nutriva la profonda convinzione di possedere la verità, per cui considerava con grande disprezzo e fastidiosa sufficienza tutti coloro che non erano comunisti. Abbiamo poi visto chi aveva ragione.

La storia non ha fatto sconti neanche al «Il Migliore».

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