Cultura e Spettacoli

A rotta di collo per cercare il tesoro d'Italia

diSempre un'automobile al posto di una casa murata. Perché ci potevo correre a osservare ponti, paesaggi, palazzi, luce. Partire verso Genova per poi deviare a Trieste: mi chiamava «bianca come una dama cicatrizzata». Rimasi a dormire sul praticello di san Pietro a Tuscania. Al mattino camminavo sospeso. Il mio omeopata, tombarolo, che mi curava le allergie tirandomi il sangue, mi spiegò che la terra etrusca non ha ombre. Solo la tua ti porti appresso. E a Sepino, sul Matese, rimasi scioccato da quella Pompei sannita. Ma il miracolo fu l'Acquedotto del Vanvitelli. A Volterra andai in pellegrinaggio per tutti i vent'anni. Passavo ore inginocchiato davanti alla Deposizione di Rosso. Sorridevo perché il Cristo e la «corte» mi sembravano fatti d'erba e di legno, come burattini che si prendono gioco della nostra stupidità. A Milano (unica vera Città), ho imposto le mani sui mattoni di ciò che resta del Lazzaretto. Mentre a Bergamo mi sono costruito una corazza di pietra nera per non bruciare il nostro talento. A Roma correvo da pazzo, quando era meravigliosamente livida. A Siena mi infilai tra le cosce di signore folli per i cavalli folli del Palio. Ho visto l'Isonzo «celeste» e non insanguinato. La Valle dei Templi è una visione perché Agrigento di cemento ti guarda dall'altra parte. A Napoli, Giggi, il commesso di Marinella, mi ha detto: «Guardi il cielo. La gente invece va ai Caraibi». Allora ho rimpianto di non avere un cane di nome Marmo, come m'ero giurato nella sala del Capitolo di Casamari. La cagna Mimì me l'hanno uccisa. Prego Dio che non ammazzino l'Italia. Altrimenti, preferisco annegare a Como, o nel Garda.

Oppure compro l'ultima auto e mi schianto prima di raggiungere Udine: dove la mia ragazza bionda attraversava il mercato sfasciato come una fisarmonica precipitata dai nostri sogni.

Commenti