Cultura e Spettacoli

Se anche l'arte dei regimi oltre che grande può esser vitale

Mussolini, Hitler e Stalin piegarono architettura, pittura e grafica all'ideologia Ma permettendo anche uno sviluppo originale. Lo illustra uno straordinario volume

Una tempera di Enrico Del Debbio illustra lo Stadio dei Marmi al Foro Mussolini
Una tempera di Enrico Del Debbio illustra lo Stadio dei Marmi al Foro Mussolini

I grandi complessi romani dell'Augusteo o del Foro Italico, l'Arengario a Milano, la città degli studi a Roma, ma anche uffici postali, stazioni, centrali termiche e torri in piccole e grandi città in tutt'Italia, e poi le Quadriennali d'arte, l'Istituto Luce, manifesti, design. Il potere e il consenso del fascismo è passato anche, o soprattutto, da qui.

La campagna contro il formalismo in nome di un'arte proletaria e del realismo socialista, i dipinti di Aleksandr Deineka che esaltano il lavoro e la fatica quotidiana, le fotografie di Rodchenko, i manifesti celebrativi per illustrare al popolo «il Paese più felice del mondo», i padiglioni dell'Urss alle esposizioni internazionali, le stazioni della metropolitana, i «tessuti della rivoluzione». Anche, e soprattutto, su queste basi si costruì lo stalinismo.

L'architettura di Albert Speer, il cinema di Leni Riefenstahl, la mostra sull'«arte degenerata» con cui si condannò l'avanguardia, le sculture ariane e marziali di Arno Breker, gli allestimenti scenografici delle parate, lo stadio olimpico di Berlino. Ecco: anche, o soprattutto, questa fu la forza del nazismo.

Tra le due guerre Mussolini, Stalin e Hitler s'imposero asservendo le arti alla propria ideologia: usando urbanistica, pittura, scultura e grafica ma anche nuove armi potentissime come fotografia e cinema. E, a loro volta, le arti godettero di commesse, protezione, finanziamenti, spazi, e spesso l'attenzione diretta e personale del dittatore. Si pensi alla dedizione di Hitler all'architettura e l'urbanistica, o a Stalin che scelse e appose di suo pugno specifiche varianti al progetto per il Palazzo dei Soviet, o al Duce che presiedeva le esposizioni del gruppo «Novecento».

L'arte per le dittature fu strumento piegato alla propaganda e alla persuasione, ma le dittature a loro volta portarono le arti a esiti estetici spesso altissimi, si pensi a Kasimir Malevic, o a Mario Sironi o alla stessa Riefenstahl. In che modo tutto ciò avvenne e con quali differenze da un totalitarismo all'altro lo racconta, ma soprattutto lo illustra con immagini straordinarie, dai grandi piani urbanistici alle cartoline celebrative, il maxi volume curato da Maria Adriana Giusti Arte di regime (Giunti, pagg. 256, euro 49).

I temi comuni fra i tre totalitarismi? Il concetto di arte totale, la grandiosità, il profluvio di metafore e simboli del potere assoluto, il culto del capo da un lato e la forza del popolo dall'altro, l'iconografia della velocità e della tecnologia (le ali che si stagliano nei cieli e le prue che fendono i mari), il concetto di ordine, l'idea della classicità. Le differenze? I miti fondanti (la romanità per il fascismo, la razza ariana per il nazismo, le masse proletarie per lo stalinismo), e il rapporto con gli artisti e gli intellettuali da parte del leader. Stalin azzerò qualsiasi tendenza uscisse dalla linea, tracciata da lui stesso e tutelata dal fedele Zdanov, della cultura «al servizio del popolo, del partito e della causa socialista». Hitler, pittore in gioventù ma senza talento, indifferente alla “classe” intellettuale, si fidò solo di un architetto e di una fotografa che incarnavano la volontà di potenza del nazismo. Mussolini, sensibile all'arte ma diffidente nei confronti del «culturame», usò alternativamente la seduzione e le minacce. Lasciando anche molta libertà, e non solo grazie a Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione nazionale dal 1936 al 1943, tra molte attività, diresse il Premio Bergamo, dedicato all'arte figurativa, «su tematiche generiche, non viziate da assunti apologetici». Del resto, una personalità certo non compromessa con il regime come Carlo Ludovico Ragghianti (1910-87) negli anni Sessanta definì quella tra le due guerre, in pieno fascismo, «una stagione splendida dell'arte italiana, per intensità e ricchezza di messaggi artistici e umani».

Anche orrori uguali, come sono tutte le dittature, a volte, miracolosamente, possono avere esiti diversi.

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