Cultura e Spettacoli

"Seoul Mafia", un "idol" italiano in Corea

È italianissimo Marco Ferrara, meglio conosciuto come "Seoul Mafia", un ragazzo pieno di sogni partito dieci anni fa per la Corea e diventato un "K-pop Idol" e un personaggio televisivo molto noto. La sua storia in un libro “Tutta colpa del K-pop” (DeAgostini) e nella nostra intervista dove racconta una Corea inedita e sorprendente

"Seoul Mafia", un "idol" italiano in Corea

La Corea è un posto lontano da noi. Dal nostro modo di pensare, dalle nostre abitudini. Eppure ultimamente tra musica, film, e serie tv, è arrivata ad essere molto più vicina ai nostri gusti di quanto non ci saremo mai immaginati. C'è però chi, come Marco Ferrara, lo aveva capito molti anni fa e, partito dall'Italia, è diventato in Corea un personaggio del mondo dello spettacolo molto famoso. Tra contraddizioni, cibo particolare, e K-pop, Marco, conosciuto come "Seoul Mafia", ha raccontato tutto in un libro Tutta colpa del K-pop (DeAgostini), ma anche nella nostra intervista, dove parla della sua esperienza, da Milano al grande successo a Seoul. Una finestra sull'oriente piena di contraddizioni e grandi opportunità.

Il suo libro, "Tutta colpa del K-pop" è una sorta di diario della sua incredibile avventura iniziata in un paesino della Brianza e finito tra le luci della ribalta della Corea.

"Ho voluto raccontare la storia di questo ragazzino insicuro e bullizzato dai compagni di classe, che ha trovato la sua via grazie al K-pop che ha fatto emergere il vero se stesso. Quello per cui un ragazzo con i capelli rosa può ballare, e non solo non viene insultato, ma viene addirittura idolatrato".

Dalla Brianza come ci è finito a Seoul?

“Ero un fan del K-pop (il termine significa musica popolare coreana anche se in realtà attualmente si riferisce agli Idol ovvero ai cantanti coreani che stanno avendo successo in tutto il mondo ndr) che ho scoperto per caso su YouTube. C’era una video che parlava del plagio di una canzone e incuriosito l’ho guardato, scoprendo che era molto più bello dell’originale. L'attenzione maniacale per i dettagli, il colore, il glitter, mi ha attratto potentemente. Vengo da una famiglia di musicisti, per me cantare era familiare, anche se ero più attirato dalla danza. Avendo queste due passioni, pensavo che il musical facesse per me, e avevo preso questo indirizzo di studi. Poi invece ho capito che era più il pop che volevo fare, e il K-pop era la risposta che cercavo, perché non c’è altro genere che accomuna ballo, canto e colore. Mi sono quindi messo in testa di far parte di una band K-pop. Nonostante i miei genitori hanno una mentalità aperta, era comunque complicato chiedergli di mandarmi dall'altra parte del mondo. Così ho trovato una soluzione alternativa. Nel mondo dell’intrattenimento coreano si fanno le cose molto in grande, e ho scoperto che per X-Factor Corea c'erano i provini anche a Londra. Così sono partito. Per fortuna mi hanno preso, e alla fine sono stati proprio loro a spedirmi in Corea. Una volta arrivato in tv mi hanno notato e anche se non sono arrivato in finale, mi ha chiamato un’agenzia dicendo che voleva farmi un provino. Questa richiesta concreta, ha convinto i miei genitori a mandarmi a Seoul a studiare danza. Il loro stile è molto diverso dal nostro, e solo quando mi sono sentito pronto, ho fatto il provino e ho iniziato a fare questo percorso per diventare un idol. Mi hanno messo dentro una casa con altri quattro ragazzi coreani e hanno iniziato la formazione. Questa parte si chiama trainee che significa che non fai ancora parte di una band, ma ti stai preparando per entrarci”.

Come vi chiamavate?

“Ks-Kiuw, ma ancora oggi non ho capito cosa significa e perché lo abbiano scelto”.

Cosa si fa durante il “trainee” ?

“È un po' come fare il militare, ma in maniera tosta. Funziona proprio così. Ci hanno tolto il telefono e il tablet perché dovevamo concentrarci solo sull’allenamento. È stata molto dura. Per poter sentire i miei genitori, mi sono inventato che mia mamma stava poco bene. Facevamo di tutto, canto, danza, palestra perché loro puntano molto sull’aspetto fisico. La cosa divertente è che per fare le sei ore di danza giornaliera, avevamo bisogno di una sala che rimanesse aperta per noi, e l’alternativa più economica che aveva trovato la mia agenzia, era quella di farlo da mezzanotte alle sei del mattino. Aggiungiamo il fatto che mangiavamo solo una volta al giorno, perché per gli standard coreani uno dei ragazzi era leggermente sovrappeso e quindi in poco tempo da 63 chili ero arrivato a pesarne 54, e sono alto 1,77. È stato un periodo incredibile. Mia madre devo dire era un po’ preoccupata, e per aiutarmi mi metteva sulla carta di credito un po' di denaro, perché a noi davano vitto, alloggio, istruzione, ma non ci pagavano. Così aspettavamo le tre di notte quando il nostro manager si addormentava in uno sgabuzzino della sala prove, poi uscivamo e io compravo qualcosa da mangiare per tutti”.

Quindi la vostra non era una grande agenzia, magari come quella che hanno i grandi idol mondiali come i BTS?

“Su questo c’è una storia molto divertente. Quando abbiamo iniziato uno dei membri della mia band, doveva scegliere se entrare nella Hibe che è l’attuale casa discografica dei BTS che all’epoca si chiamava Big Hit, o nella nostra agenzia. Anche quella dei BTS era appena nata, e non avevano molti mezzi. La band dormiva in una specie di sottoscala molto piccolo. Al contrario il proprietario della nostra, possedeva palazzi interi e li usava per noi. Vivevamo quindi in una casa di lusso con vasche di idromassaggio e ogni tipo di tecnologia. Unica cosa era completamente vuota e l'abbiamo riempita con mobili presi dalla discarica. A parte questo particolare, l'appartamento era enorme, per questo motivo il ragazzo ha scelto la nostra agenzia e non la Big Hit. Con quello che è diventata ora, e la fama planetaria dei BTS, credo si sia un po’ mangiato le mani”.

Come riusciva a fare quel tipo di vita?

“Da occidentale mi trovavo sempre peggio. In Corea c’è questa modalità di vita che dice: 'fai e non lamentarti, perché solo con il sacrificio estremo poi arrivano i risultati'. Come concetto può anche andar bene, però quando ne va della tua vita e della tua salute, ci sono dei limiti. Alla fine ero stanco, non avevo più le forze, e ho cercato un modo per uscire legamente dalla mia agenzia, perché i contratti erano molto rigidi. L'ho trovato grazie al permesso di soggiorno, che era ancora in fase di approvazione, per questo a livello contrattuale mi sono potuto sciogliere. Sono andato via che stavamo per debuttare. Avevamo tutto pronto, canzoni, video interviste e anche fan. Ma è stato meglio così".

Perché ha deciso di rimanere lì?

“La Corea mi piaceva e in un solo anno avevo già fatto parecchie cose, da XFactor, a far parte di questa idol band, oltre ad un programma tipo Amici sulla danza. Questo mi ha dato il coraggio e la certezza che avrei potuto fare molto altro, e avere quegli sbocchi artistici che l’Italia non mi dava”.

In Corea è più semplice diventare una star rispetto all’Europa?

“Come ho già detto la Corea investo molto sull’intrattenimento in generale. Inoltre io ero una straniero e miei tratti fisici piacevano molto, perché abbiamo il viso piccolo, la pelle bianca il ponte del naso alto. In Corea ci sono standard di bellezza ben definiti e la maggior parte di questi vengono presi da noi occidentali. In più cantavo e ballavo. L’unica cosa che mi mancava era la lingua”.

È difficile imparare il coreano?

“Molto, non c’è nessuna parola che ricorda neanche lontanamente l’inglese o l’italiano. L’ho studiato per un anno all’università immergendomi completamente. Facevo quattro ore di lezione al giorno, tutti i giorni, con esami ogni semestre. Diciamo che è vero che ci ho messo poco, ma è stato un anno molto intenso”.

Come faceva a mantenersi, è semplice trovare lavoro in Corea?

“Non è facilissimo, però per quanto mi riguarda ho cercato di sfruttare ogni occasione e ogni conoscenza. Mi hanno aiutato soprattutto gli stranieri che avevo incontrato. Il mio primo lavoro è stato quello di insegnare la cultura italiana ai bambini dell’asilo. Un’ottima cosa perché i bambini parlano piano e io potevo anche allenare la lingua. A quel tempo, non so se ci sia ancora, esisteva un sito che si chiamava Craigslist con una sezione dedicata al lavoro, e io prendevo letteralmente qualsiasi cosa mi capitava. Dal fare la comparsa pubblicitaria, al modello alla traduzione dei testi in inglese, qualsiasi cosa dove erano richiesti gli italiani che a quell’epoca qui erano pochi. Cercavo di trovare lavori che mi potevano far guadagnare molto in poco tempo, perché ogni giorno avevo l’università da seguire”.

Girando un po’ sulla rete, ho notato che molte fan del K-pop si lamentano che l’Italia è un po’ messa da parte. Davvero non ci considerano molto in Corea?

“Dipende da cosa. Se parliamo del fatto che pochi artisti coreani vengono a fare i concerti da noi, quella è una questione di business. In realtà invece l’Italia è molto amata in Corea. Viene considerata per quello che è, un Paese bellissimo e ricco di storia. Ci amano per la moda e anche per il nostro aspetto fisico. Ovviamente essendo così lontani ci sono degli stereotipi, non a caso io mi chiamo Seoul Mafia, perché appena sentivano che ero italiano, mi associavano alla mafia. Ora per fortuna dopo dieci anni questa cosa è molto cambiata, perché ci sono più rappresentanti italiani che spiegano la nostra cultura. Uno tra tutti Alberto Mondi che qui in Corea è molto famoso. Parlando in tv ha tolto un po’ questa poca conoscenza nei confronti del nostro Paese, con questi stereotipi che ci portiamo dietro”.

Perché dopo aver raggiunto il grande successo nella tv coreana ha deciso di diventare youtuber?

“Una volta che hai imparato la lingua essere uno straniero nel mondo dello spettacolo coreano, è molto più facile. Ho cominciato a fare tanti programmi anche molto importanti. Però ero sempre l’Italiano che assaggiava per la prima volta i Kimchi (un piatto tradizionale coreano, fatto di verdure fermentate con spezie, peperoncino in polvere, scalogno, aglio, zenzero e frutti di mare salati ndr). Poi aggiungiamo anche il fatto che io sono gay e in televisione non puoi assolutamente dirlo. Non puoi farlo tutt'ora. La mia manager si raccomandava sempre di stare attento, e io dovevo fare tutte le interviste raccontando come conquistavo la donna coreana, o che differenza c'era con quella italiana. Dopo un po' non ne potevo più perché alla fine non ero io. Avevo cominciato a notare che c'erano i primi youtuber americani che parlavano di come si viveva in Corea. Ho pensato che in Italia non c'era niente del genere e ho provato. All’inizio la cosidetta korean wave (ondata coreana ndr), non era famosa come ora, ma parallelamente all'altro lavoro televisivo mi permetteva di fare e dire quello che realmente volevo con il mio stile esuberante. Ci ho messo tre anni per capire che potesse diventare un lavoro”.

Da quello che racconta, almeno su determinati argomenti come l'omosessualità, c'è una sorta di censura.

“È corretto chiamarla così, e spiego anche il perché. In tv le parti con storie o baci gay sono proprio censurate. Tutti i Drama (show di stampo classico, ma con delle soluzioni particolari che li distaccano nettamente da ciò a cui siamo abituati con le serie TV americane ndr) con storie d'amore omossessuali, vengono passati solo sul web. In tv non ci sono. Ci avevano provato a passarne uno con la storia di due donne, ma è stato subito cancellato”.

Questo però un un po’ stride, almeno guardando gli idol K-pop emblema quasi della fluidità, che da come racconta, viene censurata in tv. Invece loro, molto truccati e con lineamenti estremamente femminili, per la Corea sono un orgoglio.

“In corea l’uomo medio, soprattutto a Seoul, è un metrosexual. (una nuova generazione di uomini, eterosessuali, che vivono nelle grandi città (metro-) e che hanno una grande attenzione per il proprio aspetto ndr). Cura molto l’aspetto fisico e il trucco in maniera maniacale. Ci sono palestre ogni venti metri e non solo le donne, ma anche gli uomini, sono tutti a dieta. Anche il fatto di andare a farsi filler o botox sono cose diffusissime. Ad esempio quasi nessuno ha la barba, perché la tolgono con il laser. Per questo ci sono visi splendidi curatissimi (la corea è la più grande e famosa produtrice di creme e prodotti di bellezza all'avanguardia ndr). Hanno una pelle incredibile, i lineamenti femminili, quindi non è la questione di essere gay o meno, vedere un uomo truccato ed estremamente femminile è una cosa comune. Però comprendo il punto di vista di chi guarda da fuori, ma in realtà la cosa qui non è vissuta così. Questo perché manca proprio un tassello, ovvero si dà per scontato che truccati, curati o meno, siano tutti eterosessuali. Non viene neanche il dubbio che qualcuno non possa esserlo. Quando ero un trainee c’era un personaggio che nasceva come drag queen sempre vestito da donna, che fu anche fotografato in inghilterra in un club gay. Ma al dilà di questo che non ha importanza, anche guardandolo in tv i dubbi erano pochi. Eppure quando ne parlavo ai miei compagni di stanza, erano quasi stupiti da questa mia affermazione. È una cosa che fa sorridere, ma ci sono persone che pensano che i gay in Corea non esistono".

A partire dal K-pop a Netflix, i prodotti coreani, mi viene in mente Squid Game i BTS ma ce ne sono molti altri, hanno invaso il mondo. Come mai piacciono tanto?

“Il governo coreano ha sempre investito molto nell'intrattenimento per diffondere la cultura coreana, quindi anche a livello di investimenti è proprio il governo stesso che spende tantissimi soldi affinché questo succeda. La qualità che ha la musica coreana, o quella che ha una serie tv, che poi possano piacere o meno, non ha nulla a che inviare ad una americana che veniva considerata un'eccellenza. Per quanto riguarda la musica qui, gli idol guadagnano un terzo di quelli di altri Paesi, perché tutto viene investito per creare un prodotto di qualità, tanto è vero che un video musicale coreano rispetto ad uno americano, costa dieci volte di più. La musica è di qualità eccellente e si mescola con la danza che credo che sia poi quella che spicca di più rispetto all'occidente, perché sono tutti ballerini di grandissimo livello. Una K-pop band prima di debuttare, fa un lavoro pazzesco. Come dicevo solo di danza sono almeno sei ore al giorno, quindi bravo ci diventi di sicuro. Quando fai un provino per diventare un idol hai 12/13 anni massimo. Ti scelgono perché vedono il potenziale che hai e quanto sei bello. Poi ti plasmano. I Bts ad esempio hanno coreografie tecnicamente molto complesse, e nonostante alcuni siano cantanti, altri rapper, sono tutti bravissimi, hanno video spettacolari, per questo hanno conquistato il mondo intero. Stessa cosa nei film e nelle serie tv. Questa cosa negli altri Paesi manca, è questo il loro plus”.

È vero però che c'è un alta percentuale di suicidi, soprattutto tra i giovani e gli idols, o è una fake news?

“Purtroppo no. Prima di tutto perché in Corea l’immagine, intesa anche a livello sociale, è un po’ tutto, e se viene rovinata sai che verrai giudicato e sarà molto difficile recuperarla. La cancel culture ( parola usata per indicare una forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno diviene oggetto di indignate proteste e di conseguenza estromesso da cerchie sociali o professionali, sia online sui social media che nel mondo reale, o in entrambi ndr) è una cosa tremenda. Letteralmente il giorno prima puoi essere in cima all’Olimpo, e quello dopo non ti guarda più nessuno. Da noi in Italia questa è una cosa più leggera, nel senso che puoi spiegarti, la gente dimentica, qui no. C’è soprattutto online, una forma di bullismo molto forte. Lo scorso mese si sono suicidate due persone famose, un pallavolista e una influencer per motivi assurdi. Il plallavolista perché si truccava un po’ più degli altri e lo hanno tacciato di essere gay. Lui si è tolto la vita perché ormai la sua immagine era rovinata. La ragazzi invece, era stata accusata di essere una femminista. Questo è un discorso molto ampio perché il femminismo in Corea è vissuto come un atteggiamento estremo, perché in questo modo viene fatto vedere dai media. I gruppi antifemministi l’hanno bullizzata a tal punto da farle decidere di togliersi la vita. Ma questo succede anche tra la gente comune. Un mio amico mi ha raccontato che molti suoi compagni ci avevano pensato al suicidio, e a mio parere solo pensare di farlo è una cosa tremenda”.

Mi sembra che anche sul fronte degli idols ci sia molta pressione, non puoi ad esempio avere una vita privata, un fidanzato o una compagna.

“Esatto, perché essere idol non significa soltanto essere un cantante. Devi venire idolatrato dalle fan. Si crea un rapporto speciale tra il fandom K-pop (l’insieme delle fan) e gli idols, e si gioca anche sul creare rapporti stretti. Questa cosa che non puoi essere fidanzato, è per dare l’idea che tu sia disponibile per le tue fan che possono anche immaginarsi di fidanzarsi con te. A differenza di altri Paesi, le band K-pop fanno tantissimi live sui social con le fan. I BTS ad esempio hanno le loro fan che si chiamano ARMY (letteralmente esercito) e con loro interagiscono moltissimo rispetto alle band che siamo abituati a vedere in Europa e in America. Già soltanto il fatto di non potersi fidanzare o frequentare qualcuno liberamente, è un tipo di dedizione assoluta. In generale le band devono fare molta attenzione a non creare scandali perché anche fumare può diventarlo”.

Rispetto all’Europa, lei che ha questa duplice visione geografica, come è vissuto il fatto di essere personaggi pubblici?

"In Corea il fandom è davvero hard core. Se c’è una persona famosa per la strada si nota, perché viene letteralmente inseguita dai fan. E alla fine sono tutti qui a Seoul, una mia amica mi ha raccontato che ha incontrato la scorsa settimana RM dei BTS in un musero. Ci sono poi fenomeni estremi come quelli delle sasaeng fan (un fan ossessivo che perseguita o invade la privacy delle celebrità. Si stima che ogni idol ne abbia tra le 500 e le 1000 che li seguono ogni giorno ndr), che per attirare l’attenzione dei loro idoli fanno qualsiasi cosa. Affittano appositi taxi per giornate intere (il costo di questi si aggira sui 600 dollari al giorno ndr) per seguire gli idol. Provocano incidenti, mandano lettere scritte con il sangue. Arrivano ad entrare nelle loro case per rubare biancheria intima, insomma sono molto estreme. Ovviamente non tutte solo così, ma ce n’è una grande fetta. Inoltre le fan spendono enormi quantità di denaro. Praticamente tutto il loro stipendio per supportare la band che amano. Quando esce un nuovo singolo ci sono lotterie dove se vieni estratto hai la possibilità di farti firmare il cd dall’idolo. Ogni cd vale un numero. C’è gente che ne compra migliaia pur di venire estratta”.

Come si vive in Corea rispetto all’Italia?

“Sicuramente cambia la prospettiva. Seoul è una megalopoli e quando torno a Milano mi sembra un paesino. Qualsiasi spostamento qui richiede almeno un’ora, a Milano con 15 minuti raggiungi ogni posto. Anche i mezzi pubblici sono dei veri fiumi di gente. Io cerco sempre di evitare gli orari di punta. Nonostante amo la Corea con i suoi pro e i suoi contro, ovviamente l’Italia mi manca, sono dieci anni che sono qui. Mi trovo in quell’età in cui sento la necessità di formarmi una famiglia con il mio fidanzato, vorrei stare un po’ di più con i miei genitori e veder crescere mio nipote. La mia idea sarebbe quella di dividermi tra l’Italia e la Corea”.

Come viene vissuta in Corea del Sud la vicinanza con il rigido regime del nord di Kim Jong-un?

“Mi ricordo che ero un Corea da poche settimane e c’è stata una dichiarazione di Kim Jong-un che avrebbe trasformato Seoul in pochi giorni in un mare di fuoco perché l’avrebbe bombardata. Io mi sono spaventato molto, e ho pensato che saremo tutti morti. I miei amici invece erano tranquillissimi. Mi hanno detto che ciclicamente lo dice e loro non ci fanno più caso. Effettivamente anche io dopo dieci anni non ci faccio più caso. Alla fine non è una cosa così semplice come fa credere. Qui ci sono anche tante basi militari americane, e la cosa è sotto controllo. L’unico problema rispetto a queste minacce è il fatto che tutti i ragazzi devono fare il militare, che qui dura due anni ed è una cosa molto sentita.

Questo ti spezza un po’ la vita e i progetti ma è una legge ferrea”.

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