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Sessant’anni fa la morte di Stalin interruppe l’Olocausto comunista

Il 13 gennaio 1953 un articolo della Pravda iniziava la compagna contro i dottori ebrei accusati di volere eliminare i dirigenti del partito in Urss e negli altri Paesi Comunisti. Un piano diabolico, interrotto il 5 marzo con la morte del dittatore

Sessant’anni fa la morte di Stalin interruppe l’Olocausto comunista

La strategia migliore per cementare una nazione è sempre stata offrire al popolo un nemico bel definito da combattere e gli ebrei nei secoli sono puntualmente stati individuati come bersaglio ideale. Sta nell’Abc di qualsiasi dittatore, un decalogo che il compagno Stalin dimostrò di conoscere a menadito, come durante le purghe del ’36/’38 durante le quali tra migliaia di suoi nemici, veri o presunti, moltissimi erano ebrei. E ancora su di loro si scatenò l’ultima persecuzione ordita dal dittatore georgiano, accusandoli di essere al centro di un complotto internazionale per eliminare i vertici del partito in Unione sovietica e negli altri Paesi comunisti. Un nuovo pogrom ufficialmente iniziato sessant’anni fa, esattamente il 13 gennaio 1953, quando la «Pravda» pubblicò il primo articolo in cui venivano ufficializzate queste accuse. Un periodo di terrore durato solo un mese e mezzo, perché il 5 marzo un colpo apoplettico si portò via l’anziano tiranno ed evitò alla comunità israelitica una secondo Olocausto.

L’antisemitismo aveva del resto permeato la società russa fin dalla secondo metà dell’Ottocento e non a caso lo stesso termine pogrom è una parola russa che significa «devastazione». All’inizio del Novecento poi la polizia segreta zarista produsse un clamoroso falso «I Procolli dei Savi di Sion», cioè il piano segreto con cui gli ebrei stavano preparando la conquista del mondo attraverso il controllo della finanza e dei media. Iosif Vissarionovic Dugašvili detto Stalin, in russo «acciaio», crebbe dunque con un odio feroce contro gli ebrei. Soprattutto dopo che il padre ubriacone, dilapidato il patrimonio familiare, fu costretto a vendere tutti i suoi beni a diversi banchi di pegni, tutti gestiti da ebrei. Un antisemitismo sotto traccia ma tenace, come dimostrò durante le grandi purghe degli anni Trenta quando falcidiò la vecchia guardia bolscevica, infierendo in particolare sui vecchi comunisti di origine ebraica che caddero a migliaia davanti ai plotoni di esecuzione.

La repressione conobbe una pausa d’arresto durante la Grande Guerra Patriottica contro il nazismo, ma riprese violenta già verso le fine degli anni Quaranta, quando nella sua paranoia iniziò a vedere trame e nemici ovunque, soprattutto tra gli ebrei. Già dal 1949 iniziarono gli arresti di importanti personalità ebraiche, mentre il 27 novembre del 1951 finì in carcere Rudolf Slànsky, segretario generale del partito comunista cecoslovacco, e il suo vice Bedrich Geminder. Entrambi ebrei e legati a Lavrentij Pavlovic Berija, capo della polizia segreta, avevano creato in Cecoslovacchia un centro per l’invio di aiuti e armi a Israele impegnata a difendersi dagli attacchi degli arabi. Essendo ormai del tutto mutato l'atteggiamento, un tempo favorevole, di Stalin nei confronti di Israele, Slànsky e Geminder vennero accusati di «cosmopolitismo», «sionismo» e di perseguire una politica antiaraba. Il processo, celebrato tra il 20 e il 27 novembre del 1952, con 11 imputati su 14 ebrei, si concluse con la condanna a morte di Slànsky, Geminder e altri nove con l’accusa di alto tradimento e spionaggio. Nel maggio 1952 furono invece processate quindici persone collegate al comitato ebraico antifascista, colpevoli di aver chiesto otto anni prima a Stalin, di istituire in Crimea una Repubblica ebrea. Processo concluso a luglio con la condanna a morte di 13 imputati. Nel novembre dello stesso anno la stampa ucraina annunciava come a Kiev molti ebrei fossero stati fucilati per «ostruzionismo controrivoluzionario».

I tempi erano maturi per scatenare una repressione su vasta scala e nell’ottobre del 1952 una lettera spedita al Comitato Centrale da Lidja Timašuk ne divenne il pretesto. Cardiologa dell’Ospedale del Cremlino, dopo aver visitato Andrej Zdanov, vittima di un malore, la dottoressa aveva infatti emesso una diagnosi per confutare quella degli altri medici che l’avevano curato. Pochi giorni lo storico dirigente sovietico morì e Stalin ordinò l’arresto di molti medici, fra cui diversi specialisti operanti al Cremlino, compreso il direttore stesso dell’Ospedale, Egorov, ed il suo stesso medico curante, Vinogradov accusati di cospirazione. A loro carico la lettera della dottoressa Timašuk ma anche molte confessioni estorte con la tortura. E il 13 gennaio 1953 la Pravda, organo del partito comunista, iniziò una violenta campagna stampa contro i medici ebrei con un articolo dal significativo titolo: «Sotto la maschera dei professori-dottori: Spie e assassini infami». Due milioni di ebrei sovietici si trovarono improvvisamente, in grande pericolo: i mezzi di comunicazione cominciarono a auspicare la caccia all’ebreo, sempre formalmente mascherata con la formula della mobilitazione antisionista: epurazioni e avvisaglie di pogrom cominciarono a svilupparsi per tutto il Paese. In Siberia, Kazakhstan e Birobidzan i campi di concentramento, allestiti negli anni precedenti con meticolosa e silenziosa programmazione, erano ormai pronti a ospitare i nuovi internati. I maggiori intellettuali ebrei - come lo scrittore Il’ja Erenburg, il violinista David Ojstrach, lo scrittore Vasilij Grossman e tanti altri furono costretti a firmare la «Dichiarazione Ebraica» per auspicare una deportazione «a salvaguardia della sicurezza della popolazione ebraica dalla giusta collera dei Popoli». Impossibile, come sempre quando di mezzo c’è l’Unione sovietica staliniana, azzardare dei numeri, ma si calcola che tra denunciati, arrestati, internati e fucilati la repressione abbia colpito in poche settimane 600mila ebrei. Poi l’improvviso colpo di scena, il 1° marzo a 73 anni mentre si trovava nella sua villa nel comune di Kuntsevo, ora quartiere di Mosca, Stalin venne colpito da un colpo apoplettico. Le guardie davanti alla sua camera da letto non osarono forzarne la porta blindata fino alla mattina dopo, quando il tiranno era già in condizioni disperate: metà del corpo era paralizzata e aveva perso l’uso della parola. La sua agonia durò fin all’alba del 5 marzo.

E nelle settimane successive il secondo grande Olocausto si esaurì per la semplice mancanza di ordini: la morte del dittatore aveva con ogni probabilità salvato la vita a due milioni di ebrei.

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