Cultura e Spettacoli

La società è in crisi E gli scrittori tornano a raccontare la città

Il raffinato libro di Aciman è solo l'ultimo esempio di narrativa che indaga i diversi tipi di convivenza

La società è in crisi E gli scrittori tornano a raccontare la città

L a letteratura di tutti i tempi ci testimonia come sia difficile raccontare una città, oppure descriverla. Le città non hanno un'origine univoca e non è nella storia che dobbiamo cercarla. Ci sono modelli che si ripetono, come per esempio le città che sorgono sui fiumi, perciò in un contesto agricolo. Ma sono solo alcuni tra i modelli, e l'economia non è sufficiente a spiegare il fenomeno.
La Bibbia offre molti ritratti urbani, che non si limitano a Gerusalemme, basti pensare a Sodoma o alla Ninive del Libro di Giona. Qui è lo statuto morale a caratterizzare la vita cittadina: la città vive bene se le sue leggi sono buone. È la qualità del legame tra cittadini, dunque, a fare la buona città. Questo modello, da cui discende il termine politica, si ritrova nell'avventura delle poleis greche, nell'amministrazione romana e pressoché in tutta l'avventura europea, da San Agostino alle allegorie trecentesche nel Palazzo di Siena, fino ai giorni nostri.
Da diversi anni mi sono impegnato nello sforzo di raccontare le città. Lo considero una specie di necessità politica. Gli scrittori lo hanno sempre fatto, a volte per dovere d'informazione, altre volte per stabilire un legame personale con il mondo: quel legame che spesso, specialmente oggi, sembra sul punto di dissolversi. Il gran numero di libri che escono nel mondo su questo argomento mi conforta con il pensiero che non si tratta solo di una mia fissazione personale: evidentemente, i nostri rapporti consueti, quelli sui quali si fonda la normale convivenza di una comunità, attraversano un momento di crisi. Perciò è necessario riannodare, in un modo o nell'altro, le fila.
Esistono molti tipi di scrittori urbani. C'è chi, come il sottoscritto, cerca di prestare ascolto, per così dire, all'aspetto corale di una città, distinguendone la grana dentro la babele delle singole voci; e c'è chi persegue la necessità di un legame totalmente individuale cercando, nella realtà odierna il filo di un ricordo, o di un sentimento passato. In tutti i casi, esiste un punto comune: la persuasione che il carattere di una città sia la somma del modo in cui ciascuno dei suoi abitanti (anche temporanei) la pensa e la percepisce.
L'americano André Aciman rappresenta, dal punto di vista del metodo, il mio esatto contrario. Ma proprio per questo ho letto con grande giovamento Città d'ombra (Guanda, pagg. 265, euro 18) e mi sento di consigliarlo. Il sentimento principale che Aciman enuncia - non per chissà quale scelta ma per destino individuale - è un sentimento d'esilio: ebreo, nato e cresciuto in Egitto, francofono dalla nascita, turco per origine ma poi italiano, residente in America, Aciman ha lasciato in molte città pezzi significativi della propria vita. Ma ciò che lo rende affascinante non è tanto questo fondo autobiografico, che è come la trama della sua narrazione; importa di più l'ordito, il disegno che sta dall'altra parte, quel complesso cioè di pensieri, attitudini, emozioni, che determinano i rapporti che egli intrattiene non soltanto con i luoghi della propria biografia, ma con tutti i luoghi.
Chi vive la condizione di esiliato cerca sempre la propria casa, e spesso la trova in una cartolina più che all'indirizzo della propria residenza momentanea. Spesso, tra l'altro, le cartoline ci giungono dal luogo in cui abbiamo vissuto, ma molti anni dopo, e soltanto allora ci rendiamo conto di quello che abbiamo lasciato in quel posto, e di quello che abbiamo portato con noi. Talvolta commettiamo l'errore di tornare sul posto. Questo errore è il Viaggio nel senso più alto della parola.
Il libro di Aciman è pieno di cartoline, di spunti di viaggio. Quello che trasmette non è solo il piacere della lettura (che c'è, e in misura abbondante), ma anche e soprattutto la voglia di fare come lui. Perché tutti, anche i titolari delle biografie più domestiche, siamo in fondo degli esiliati. Anche se viviamo nella stessa casa dei nostri nonni, sono cambiati i vicini, sono cambiate le loro lingue, è cambiato il modo di pensare.

Anche noi abbiamo bisogno delle nostre cartoline, che ci aiutino a legarci - con la memoria, le parole, l'immaginazione - a quella cosa mobile e irrequieta che è la nostra terra.

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