Cultura e Spettacoli

Maffesoli: "Dopo tante certezze il mondo riscopre la forza del Destino"

Il principale teorico del postmoderno spiega perché l'uomo non è più padrone dell'universo. E come le "tribù" adorano un nuovo (vecchio) idolo: la Fortuna

Maffesoli: "Dopo tante certezze il mondo riscopre la forza del Destino"

Si fa presto a dire postmoderno. Da tre decenni o più la filosofia che ha raccontato e teorizzato la fine delle gerarchie di pensiero domina il costume culturale. Qualsiasi fenomeno dell'immaginario, dai deliri architettonici più improbabili all'arte d'avanguardia più bizzarra, al trash televisivo, alle nudità delle popstar su Twitter, viene raccolto nel grande e coloratissimo, inevitabile ed euforico calderone del «postmoderno». Così spesso ci si dimentica che questa corrente filosofica amata (soprattutto negli anni '80) e contestata (soprattutto adesso) ha avuto e ha dei teorici precisi e rigorosi. Uno di loro, forse il più prestigioso tra i viventi, è Michel Maffesoli. Fautore di un paganesimo filosofico che rompe le grandi costruzioni ideali, teorizzatore di una società neo-tribale retta dall'eros più che dalle ideologie, il settantenne filosofo e sociologo francese è presente oggi alla Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi. Il tema della manifestazione tra l'alto è «Fortuna/Destino», concetti con cui la tradizione culturale occidentale ha avuto a che fare sin dalle origini.

Professor Maffesoli, che senso ha il concetto di «destino» in una società ove i punti di riferimento, nel pensiero e nelle istituzioni, sembrano saltati?

«La società moderna si fonda sulla grande idea cartesiana dell'uomo padrone dell'universo. Tutt'altra cosa è l'emergenza della postmodernità, dove il grande mito del progresso sta lasciando il posto al ritorno della “necessità”, un altro modo per parlare dell'anankè della filosofia greca. Non siamo che all'inizio di un processo in cui l'idea di destino sta ritrovando una forza sociale innegabile».

Già dal Trecento Boccaccio e altri esponenti dell'Umanesimo nascente si occuparono del contrasto fra «virtù» e «fortuna». Come declinare oggi il concetto di «fortuna»?

«Ricordiamolo, la dimensione prometeica di tutto il pensiero moderno è consistita nell'eliminare le incertezze proprie all'irruzione della fortuna. Michel Foucault ha mostrato che tutte le istituzioni che si svilupparono nel XIX secolo, in particolare quelle educative, misero l'accento su una realizzazione individuale. Ma questo paradigma moderno è ormai saturo e da allora stiamo assistendo al ritorno di un'idea di “fortuna” unita al fatto che la persona può esistere solo per poter negoziare questa fortuna con la tribù alla quale appartiene».

In varie occasioni lei ha messo l'accento sul «tribalismo digitale» come forma di vita prevalente oggi. Ma per esempio: alcune foto su Facebook vengono censurate non si sa bene perché, Google filtra i risultati in base a logiche non sempre trasparenti. Siamo a rischio assolutismo digitale?

«Invece, ciò che colpisce è che proprio le diverse tribù digitali arrivano a giocare d'astuzia con le varie forme di censura. Anche nei Paesi più dittatoriali, penso per esempio alla Cina, gli internauti arrivano spesso a sventare i controlli dell'assolutismo digitale. È nella logica stessa di internet essere “orizzontale” e quindi scappare al potere verticale che era stato il simbolo della modernità».

Ma chi controlla i controllori del cybermondo come Google?

«Penso che non si possa più avere un Grande Fratello come controllore ultimo del cybermondo. L'esperienza mostra che c'è sempre e ovunque un modo per scappare ad un controllo invadente. Ciò che ho proposto di chiamare “le utopie o le libertà interstiziali”. Proprio in questi “interstizi” della vita si elaborano i modi di essere postmoderni. A differenza di un concetto della tecnica che poteva essere dominato da qualche “controllore”, la cybercultura è anarchica».

In Homo Eroticus lei ha parlato a lungo della prevalenza degli aspetti affettivi nel postmoderno e nei nuovi media. Ma è Eros o semplice narcisismo?

«L'“Homo eroticus”, che a mio avviso è la specificità dell'epoca postmoderna, rinvia al “trionfo degli affetti”, cioè alla spartizione delle emozioni e delle passioni collettive in tutti i campi. Gli indignados a Madrid, il Partito Pirata a Berlino, Occupy Wall Street a New York sono alcune tra le manifestazioni di questo ritorno delle emozioni collettive. Da ciò bisogna considerare che questo “homo eroticus” non è affatto narcisista come i diversi osservatori sociali vorrebbero farci credere».

Ha scritto un saggio sul moralismo mediatico, attaccando i benpensanti (Les nouveaux bien-pensants, con Hélène Strohl). Chi sono i benpensanti oggi?

«Quelli che definisco i “benpensanti” sono quelle élite che hanno il potere di dire, il potere di fare: i politici, i giornalisti, gli universitari, i funzionari totalmente ossessionati dai valori della modernità riassumibili in tre parole chiave: individualismo, razionalismo, progressismo».

Appartengono alla destra? Alla sinistra? A entrambe?

«Si trovano bene sia a destra che a sinistra, perché anche se tra di loro c'è qualche differenza di poco conto, portano comunque avanti questo ideale di progresso, della storia dominata. E non capiscono che in gioco c'è il ritorno del destino, col quale bisogna sapersi arrangiare, per riprendere un'espressione di Lévi-Strauss».

Sulla crisi del mondo moderno, ha sottolineato che le reazioni di fronte ad essa sono due: la derisione, tipica del capitalismo e il compianto, invece tipico di chi ha nostalgie socialiste. È possibile sfuggire a questa alternativa?

«Mi sembra che le pratiche giovanili arrivino a sfuggire sia alla derisione, sia alla nostalgia, e che ci sia una cultura che mette l'accento sulla creatività, attraverso la ragione sensibile e privilegiando il presente. Questa creatività vissuta nel quotidiano sta andando a costituire una nuova civiltà che le élite moderne hanno dovuto a fatica riconoscere.

Il rapporto con il destino è un elemento dei più importanti per comprendere la vitalità postmoderna».

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