
Con oltre 764 milioni di dollari di fatturato negli ultimi due anni e mezzo, Gerhard Richter è stato appena catapultato da Artnet in vetta alla classifica degli artisti viventi più quotati. Non passa asta in cui l'artista tedesco non desti l'attenzione (lo scorso anno, un esempio su tutti, il musicista Eric Clapton vendette una sua opera astratta a 38 milioni di dollari, per la gioia di Sotheby's). Questi numeri sono dovere di cronaca, dopo la vorticosa kermesse di «Art Basel», evento per antonomasia del mercato dell'arte contemporanea. Tuttavia, di Richter bisogna parlare perché, proprio a Basilea e proprio in questi giorni, gli è stata dedicata una monografica di grande fascino: è alla Fondation Beyeler - uno dei 32 musei della città elvetica, un'ariosa costruzione di vetro e pietra ideata da Renzo Piano, immersa nel verde della campagna - e con la curatela del raffinato Hans Ulrich Obrist (fino al 7 settembre, catalogo edito da Hatje Cantzin in inglese e tedesco). Il cerchio si chiude: il riconosciuto maestro di Dresda, classe 1932, collabora con l'affermato critico il quale, rampollo di una famiglia dei suoi primi collezionisti, già da ragazzino bazzicava nel suo atelier.
E allora la mostra diventa una sfida: presentare un aspetto inedito o poco indagato dell'opera di Richter. Quel Richter - 82 anni di vita, 60 di carriera - di cui è ancora oggi impossibile catalogare con precisione il corpus delle opere, tale è la vastità e la poliedricità dei lavori (oltre tremila solo i dipinti). Come definire la cifra stilistica di uno che passa dal fotorealismo all'astrazione, dall'arte gestuale a quella analitica, dal dipinto di piccole dimensioni alla scultura? Di un artista che per anni si concentra sul grigio e poi gioca con i colori, che s'innamora della luce di Tiziano ma anche di quella di Monet, che ammira Pollock e si lascia ispirare dal crudo fotogiornalismo di cronaca nera?
Pittore dell'Est, fuggito dal comunismo e approdato con disincanto a Ovest, apprezzato da mercato, critici e pubblico (vedi il successo delle sue esposizioni a Londra e Parigi), Richter è da alcuni ritenuto il più grande artista vivente perché abile sperimentatore, da altri perché nostalgico tradizionalista. Chi ha ragione? Obrist, per farci capire come lavora la mente creativa di Richter, sceglie il «come» più che il «che cosa» e si concentra sui cicli che caratterizzano tutta la sua produzione. Basilea ne mette in mostra i più significativi come quello sull'Annunciazione secondo Tiziano, cinque tele di grande formato di circa cinquant'anni fa, per la prima volta riunite in un percorso che comincia da una copia fedele del capolavoro tizianesco per arrivare all'astrazione pura del colore. Si cambia decennio e il confronto non è più con la storia dell'arte, ma con la cronaca: accade nel duro ciclo 18. Oktober 1977 - eseguito nel 1988 - esito di una riflessione lunga e dolorosa sul terrorismo tedesco. Richter ritrae le gesta estreme e i corpi ammazzati dei terroristi rielaborando le foto riportate dai quotidiani dell'epoca: la sua «storia dei vinti» in pittura, quasi un disperato tentativo di cogliere le infinite sfumature del reale, fu aspramente criticata in patria. Nelle sale a fianco, i contrappunti di dolcezza figurativa delle maternità postmoderne, rivisitazione del tema rinascimentale della Madonna con Bambino, i cicli di astrattismo, come la serie dedicata a Bach e a Cage (la cui musica Richter ascolta mentre dipinge) e poi il ciclo Wald, la foresta, luogo in cui smarrirsi e lasciarsi incantare. Oltre alle sculture di vetri e specchi, i lavori recenti (Strips, strisce che mandano in cortocircuito la vista) testimoniano l'interesse per la fotografia digitale.
Mutano stili, soggetti e tecnica, ma l'obiettivo dei lavori seriali di Richter pare sempre quello di moltiplicare all'infinito l'occhio della pittura sul mondo.