Controcultura

Urss, il paradiso artificiale dei compagni fricchettoni

Negli anni '70- '80 molti ragazzi della Germania Est facevano carte false per visitare l'Unione Sovietica

Urss, il paradiso artificiale dei compagni fricchettoni

Ci fu un'epoca anche in Germania Est in cui tanti giovani volevano andare a vedere se di là era meglio. Solo che l'agognato «di là» non era, come ci si aspetterebbe, l'inarrivabile e attraente Occidente, ma la grande madre Russia: sulla carta, almeno sulla carta, il più socialista dei Paesi socialisti. Quello da cui imparare: «Perché imparare dall'Unione Sovietica significa imparare a vincere» diceva la propaganda.
Un Paese che però era tabù per gli stranieri, anche quelli del Patto di Varsavia. E se anche qualcuno riusciva ad andarvi, poi non era permesso fotografare ponti e stazioni ferroviarie, men che meno aeroporti o peggio ancora scattare foto dall'alto. Un Paese dove esistevano intere città (Sebastopoli, Samara, Kaliningrad) chiuse e non segnate sulle carte perché vi si custodivano i segreti dell'industria bellica e della potenza militare sovietica. Un Paese paranoico, dove spesso non si trovavano mappe dettagliate delle città, ma nel migliore dei casi si riuscivano a comprare solo schemi. Insomma: blindato per tutti, anche per gli altri «fratelli» socialisti, ma ciò non di meno attraente. Almeno agli occhi bramosi di conoscenza degli autori antologizzati in Viaggiare contro vento. Viaggiatori illegali nell'Urss (pagg. 192, euro 15), una curiosa raccolta curata da Cornelia Klauss e Frank Böttcher, pubblicata in Germania e tradotta da Keller Editore nella sua bella collana Razione K, tutta dedicata ai reportage.
Personaggi strani, gli autori di questi testi: bohémien senza paura, futuri scrittori - uno di loro è Vladimir Kaminer, di cui Guanda ha tradotto diversi libri -, ornitologi ambientalisti, pastori protestanti spacciatori di Bibbie. Ma prima di tutto semplici ragazzotti cresciuti nella nebbia intellettuale della Germania dell'Est, ma attratti - per quella spinta innata che hanno in tanti a qualsiasi latitudine e sotto qualsiasi regime - dalla prospettiva di viaggiare e conoscere il mondo. Solo che allora il mondo che era permesso visitare aveva un orizzonte assai limitato. E i viaggi individuali erano di fatto vietati. Un tedesco dell'Est negli anni Settanta poteva entrare liberamente solo in Cecoslovacchia. Per la Romania, l'Ungheria e la Bulgaria serviva un visto. Per gli altri era obbligatorio aggregarsi a un gruppo del partito. Ma non per questo si scoraggiavano, anzi. Inventavano ogni escamotage para-legale pur di mettersi in viaggio, come spiega bene Michael Beleites nel suo testo Nuvole di Lituania.
Il più in voga, suggerito dalle stesse guardie di frontiera altrimenti assai solerti nel requisire salsicce e altre vettovaglie, prevedeva l'acquisto di un biglietto ferroviario per un altro Paese del blocco socialista che prevedesse il transito dell'Unione Sovietica. Di norma era sufficiente indicare una destinazione in Romania per poter partire, ma i più temerari indicavano anche la Mongolia o addirittura la Cina: tanto il costo del biglietto era inversamente proporzionale alla distanza. Bastava poi far perdere le tracce una volta entrati nell'Urss, salendo su di un altro treno sperando di non essere fermati dalla militsia. Di lì in avanti erano esplorazioni piuttosto avventurose che permettevano incontri con cittadini sovietici di ogni specie. Così negli anni Ottanta la Lituania era una meta piuttosto in voga tra chi voleva fuggire dalla claustrofobica Ddr. «La città di Vilnius e i suoi sobborghi sembravano più luminosi di qualsiasi altra città della Germania orientale che conoscessimo», scrive Beleites. Qui negli anni '80 questi fricchettoni socialisti non andavano a cercare dissidenti, semplicemente perché la maggioranza dei lituani erano dissidenti: nazionalisti che coltivavano l'identità cristiana e lituana come forma di resistenza all'occupazione russa. Così, passandosi la voce e gli indirizzi, i giovani della Germania Est capivano che altrove qualcosa si stava muovendo e il loro grigio universo non era l'unico possibile.
Ma non c'era solo il turismo illegale in Unione Sovietica. C'era anche un sistema di turismo interno dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, come racconta il Piccolo Abc del turismo sovietico compilato da Christian Noack. Fin dall'inizio la vacanza in epoca sovietica non era una fuga dalla mobilitazione permanente dei cittadini verso un fine comune. Piuttosto era una continuazione della mobilitazione con altri mezzi. Era complementare allo sforzo di costruire l'homo sovieticus e serviva innanzitutto per rigenerare la forza lavoro. «Per farlo vennero scelte nuove attrattive turistiche, come gli impianti industriali degli anni Venti e Trenta che testimoniavano la costruzione del Socialismo. Ne facevano parte anche memoriali dedicati alla vita di Lenin e degli altri leader rivoluzionari, nonché luoghi celebrativi della Grande guerra patriottica» come viene chiamata nei Paesi ex sovietici la Seconda guerra mondiale. Ma andavano per la maggiore anche le mete esotiche della Crimea, o dell'Abcazia, considerata la Costa Azzurra sovietica, fino a Sochi, il più grande centro turistico del Sud dell'Urss. Oppure le montagne del Caucaso, le spiagge sabbiose della Lettonia o quelle sub tropicali di Batumi, in Georgia.
Anche se il pezzo forte erano forse i sanatori un po' ospedali, un po' centri termali. E oggi un po' ovunque mastodontici e decrepiti esempi di architettura socialista. Il ricovero nei sanatori era un modo per premiare gli stacanovisti, la crème dei lavoratori. Ma anche per promuovere esercizio fisico e cura del corpo, da contrapporre, quasi fossero un manifesto, all'ozio delle vacanze all'occidentale. Per partire serviva comunque un'autorizzazione, che fosse del medico o del segretario del comitato di fabbrica. Anche se trovare un mezzo di trasporto poteva essere una chimera. Una chimera non tale da scoraggiare i giovani viaggiatori illegali della Germania Est presenti in questa raccolta.

Giovani che con il semplice atto del viaggiare non rivendicavano la libertà, la mettevano in pratica.

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