Cultura e Spettacoli

La vera avventura (artistica) è annoiarsi per tutta l'estate

Il turismo oggi richiede un fisico bestiale. Scrittori come Flaiano, Pavese, Brancati raccontavano vacanze oziose. Ma più creative

La vera avventura (artistica) è annoiarsi per tutta l'estate

«I miei viaggi in Cina sono davvero poca cosa se li confronto a quei passi a tentoni nel buio, dal letto alla cucina, in cerca di un bicchier d'acqua». Così, Ennio Flaiano in Diario notturno . Dove aggiunge, per chiarire il concetto: «Dai viaggi autour de sa chambre , raramente si ritorna». In altre parole, quest'estate, invece di cercare un'alternativa alla «stessa spiaggia, stesso mare», state a casa, che è meglio.

C'era una volta l'estate. Non solo di chi partiva per la villeggiatura. Ma anche, e soprattutto, l'estate di chi restava in città. Città deserte, senza niente da fare. Con pomeriggi troppo azzurri e lunghi, e treni dei desideri da sognare di prendere in corsa, che non arrivavano mai.

In altre parole, la noia. Oggi, anche il più infimo paesino si affanna a proporre iniziative, concerti, conferenze, mostre, festival. Non c'è più pace, e i grandi momenti di vuoto esistenziale in cui ci si crogiolava in passato sono stati sostituiti, come i libri sul comodino, da impegni molto più produttivi. Scomparsi i tomoni che aspettavamo l'estate per leggere (anche se poi, tendenzialmente, non li leggevamo) spopolano i gialli. Prede di un costante bisogno di sentirci vivi, stimolati, incalzati, iperattivi. Abbiamo bisogno di pensare che le cose che accadono, alla fine, avranno un senso, che avremo una risoluzione finale che metta tutto a posto. Nessuno più boccheggia in canottiera, in preda all'angoscia, sentendosi escluso dal tunnel del divertimento. La noia ci è preclusa. E, con lei, le avventure, anche se solo immaginarie, che dall'inedia fiorivano.

L'estate contemporanea pretende il suo tributo di attivismo. Chi di noi partirà finirà a caccia di quelle cose «divertenti» che ci ripromettiamo di non fare mai più, e che poi, puntualmente, rifacciamo ogni anno. Come nella celebre crociera in cui si immerse lo scomparso David Foster Wallace ( Una cosa divertente che non farò mai più ), ci troveremo a inseguire «il profumo che ha l'olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente», parteciperemo, simulando una pudica ritrosia, a trenini «a ritmo di conga», impareremo la differenza «tra Bingo e Superbingo», ci procureremo dolorosissimi crampi per ricambiare migliaia di «sorrisi professionali» e completeremo intere collezioni di «eritemi, cheratinosi, lesioni premelanoma, macchie da mal di fegato, eczemi, verruche, cisti papulari, pancioni, celluliti femorali, vene varicose, trattamenti al collagene e al silicone, tinture orribili, trapianti di capelli malriusciti». Per chi di noi resterà, i tre mesi estivi saranno mesi come tutti gli altri.

Ormai sono perdute le sensazioni come quelle descritte da Cesare Pavese ne La bella estate : «Tutte le strade erano vuote, e non sapeva dove andare... Si divertiva a pensare che l'estate che aveva sperato, non sarebbe venuta mai più». Insieme ai corsi e ricorsi della memoria per ripercorrere «Le orme del mio piede, se riapparissero sui pavimenti, le scale, il lastricato, la sabbia, sarebbero gli anelli di una catena che, da sottile, va diventando sempre più larga, finché, rimasta nella sua misura, corre da tutte le parti» di cui parlava Vitaliano Brancati in Paolo il caldo . Difficile ormai perfino immedesimarsi nel tragicomico pathos di Verdone in Un sacco bello quando, preda delle smanie per la villeggiatura, cerca disperato un rimpiazzo per non perdere la sua ragione di vita. Cadute anche le «zingarate» casuali, sotto i colpi degli smartphone. Non solo perché, ormai, dipendenti dai navigatori, per perderci (e così ritrovarci) dovremmo avere la fortuna che ci si scarichi la batteria. Ma soprattutto perché lo spazio virtuale dei social ha fagocitato lo spazio fisico della socialità, rendendosi la sola piazza in cui si riversano le solitudini in cerca di condivisione, dando vita a zombie che durante gli eventi live si alienano per fotografare piatti e scorci, monitorando chi posta, chi è in linea, concedendosi una chattatina dagli scogli o un selfie per far vedere quanto sono felici mentre sono felici.

Dell'embargo dalla compianta noia sono vittime anche i ragazzini in vacanza da scuola. Addio alle estati alla Stand by me (libro di Stephen King da cui il film di Rob Reiner), in cui bastava l'idea di potersi imbattere in un cadavere da qualche parte nel bosco per sentirsi chiamati a vivere l'avventura della nostra vita. Non succedeva mai, ma almeno, una volta, potevamo sperare succedesse. Oggi ci sono mille programmi ricreativi, ben diversi dalla colonia stile «Charlie Brown» a cui si era condannati decenni fa, in cui vige il perverso credo secondo cui lo scorrere del tempo deve essere variegato e frenetico, scandito dall'entusiasmo volgare e dopato di animatori/educatori dalla voce squillante, tarantolati da un rivoltante vitalismo.

Se questi strali non sono che i rigurgiti reazionari di chi, godendosi il lusso della contemporaneità, sperimenta una vecchia/nuova forma di noia nei confronti dell'iperstimolante, iperconnesso porco mondo in cui siamo calati, permettetemi lo stesso di lagnarmi per l'impossibilità di immedesimarmi in Vittorio Gassman, protagonista de Il sorpasso di Dino Risi. Nullafacente e cialtrone, spiantato e in cerca di avventure, il solitario che scorrazza su un'auto sportiva al ritmo di Saint Tropez Twist in una città deserta abbacinata di luce, surreale, straniante, è il vero eroe dell'estate.

Se fossi un Sindaco, al posto di mille iniziative estive in cartellone per compiacere gli organizzatori di eventi, emetterei un'ordinanza che obblighi i miei cittadini a compiere almeno un vagabondaggio malinconico, entro settembre. La noia e la malinconia diventerebbero in breve tempo la nuova frontiera del turismo.

Twitter @cubamsc

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