Cultura e Spettacoli

Susanna Tamaro: "Vi porto nell'iceberg dove è cresciuta la mia letteratura"

Nell'autobiografia la scrittrice triestina racconta l'infanzia in una famiglia incapace d'amare

Susanna Tamaro: "Vi porto nell'iceberg dove è cresciuta la mia letteratura"

Un salto mortale del destino: Susanna Tamaro. Una bambina vittima di tutte le sfortune divenuta scrittrice di fama mondiale. «Sono nata in uno dei giorni con meno luce dell'anno, nel cuore più profondo della notte. Soffiava una bora fortissima. Bora scura, con neve e con ghiaccio». È l'incipit di Ogni angelo è tremendo, l'autobiografia che la scrittrice triestina manda in libreria da Bompiani (pagg. 272, euro 16,50). È un assaggio dell'«iceberg» affettivo che ha segnato la sua esistenza fecondandone la vocazione letteraria.

Un'autobiografia come un thriller. Chi è il colpevole della trasformazione di una bambina solitaria in una raccontatrice di storie?

«Siamo in presenza di un concorso di colpa. Questo libro è un lungo viaggio per capire l'origine della scrittura in me. Da bambina non sognavo di fare la scrittrice. Tuttora scrivere non è il mio interesse principale. La mia quotidianità è lontana da quella che in gergo viene chiamata cultura creativa».

Scrive che la sua terra è cresciuta «nonostante». Nonostante la bora, le guerre. E parla di caparbietà. Senza avversità non c'è caparbietà. Forse quel «nonostante» va tradotto in «grazie a»?
«Ho sempre avuto una mente più filosofica che letteraria. Procedevo attraverso domande e la scrittura è nata dal tentativo di rispondere a queste domande. Che scaturivano da questa terra esplosiva in un'epoca nella quale i fatti del primo Novecento vibravano ancora nell'aria».

Un altro colpevole è la genetica?
«C'è un legame misterioso. Sono una pronipote di Italo Svevo. E sono cresciuta vicino a sua figlia Letizia, di cui porto il secondo nome».

Ha letto precocemente i suoi libri?
«Frequentavo la casa, ma La coscienza di Zeno l'ho letto quando vivevo già a Roma. Ho lo stesso segno zodiacale di Svevo, la mia scrittura è attraversata dallo stesso distacco. Nessuno se ne accorse, ma Va' dove ti porta il cuore era una prosecuzione di La coscienza di Zeno. La madre della protagonista è la più piccola delle sorelle del romanzo di Svevo, il cane Argo è lo stesso, la casa è la stessa. E la psicanalisi fa da sfondo in entrambi i libri».

Questa messa a nudo ha richiesto molto coraggio?
«Non mi è mai mancato. Non m'interessava raccontare i fatti miei, quanto il percorso interiore di un artista. Viviamo in un mondo che finge che l'arte non ci sia, che tutto sia commercio e marketing. Ma di come nasca uno scrittore si sa poco».

Il «non amore» della sua infanzia ha generato il sentimento della compassione. Scrive che l'amicizia è il sentimento più alto e infatti non c'è traccia di storie d'amore.
«Naturalmente ho avuto una vita sentimentale molto vivace. Ma catastrofica. La mia fragilità pregressa mi ha impedito di avere relazioni stabili, capaci d'immaginare un futuro. Se cresci così ti manca il modello. Nell'amicizia, non essendoci coinvolgimento fisico, rimani su un piano più equilibrato, c'è un momento in cui chiudi la porta. Una parte di me rimane irraggiungibile: solo nella solitudine posso conservare questo cuore caldo. L'amore lo vivo in una dimensione quasi mistica, non coniugale».

Suo padre dice: per tutta la vita ho cercato di capire il mistero dell'amore.
«Era totalmente anaffettivo, anche lui vittima di un'educazione senza amore. Quando è andato a vivere in solitudine, nel degrado totale, aveva quest'ansia. Ma la sua dipendenza dall'alcol l'aveva reso quasi autistico».

Essere è essere amati.
«Va' dove ti porta il cuore intendeva interrompere l'onda distruttiva del non amore».

Si dice che i bambini si adattano a tutto e che le famiglie possono essere di tanti tipi...
«Anche ad Auschwitz c'erano i bambini. Io ricordo il bisogno di avere dei genitori che possibilmente si vogliono bene e di cui andare orgogliosi. Magari anche fantasticando sulla loro grandezza. Tu sei specchio di metà e metà. Come ho scritto in Ascolta la mia voce un figlio deve poter ammirare i suoi genitori».

Sembra di capire che uno scrittore non nasca dalle scuole di scrittura e che la letteratura non sia la trasformazione in romanzo che alcuni giornalisti fanno della propria vita.
«Anch'io in spiaggia leggo libri d'evasione. Però ora sembra che la letteratura sia solo una macchina da soldi. Assistiamo a un abbassamento del livello della letteratura. Forse il calo dei lettori non è attribuibile solo a internet. Magari anche al fatto che non si trova qualcosa di diverso da ciò che propone la Rete che di svago ne offre parecchio. Il che non vuol dire che la letteratura debba essere astrusa. Il primo livello d'impatto dev'essere appassionante. Poi però ci sono altri livelli. Ma per inserirli bisogna lavorare parecchio».

Sta ripubblicando le sue opere da Bompiani con nuove prefazioni. Su quella di Anima mundi, il libro che raccontava la tragedia del comunismo slavo, scrive che è il più importante.
«È il mio libro più complesso e completo perché affronta di petto la crisi del Novecento. Era un libro troppo in anticipo sui tempi. Per questo fu insultato e distrutto da persone che l'avevano appena sfogliato. Sono contenta che esca nuovamente adesso perché penso possa dare ancora molto, soprattutto ai giovani».

In quell'occasione s'incrinò il suo rapporto con la critica. Si è ricomposto?
«Non ho mai letto la critica. M'interessa quella che si fa negli àmbiti universitari. Quella dei giornali segue vari venti. Libri imbarazzanti vengono osannati. Nel '95 una persona considerata il guru della critica scrisse che entro dieci anni nessuno si sarebbe ricordato della mia esistenza. Quella frase l'ho incorniciata. Siamo nel 2013 e le cose mi pare siano andate diversamente».

Le diedero della fascista.
«Tutti aspettavano il seguito di Va' dove ti porta il cuore. I critici avrebbero parlato della solita sentimentaloide... Invece pubblicai un racconto forte, maschile. Saltò lo schema e mi fu chiaro che non avevano capito nemmeno Va' dove ti porta il cuore».

Le generazioni di oggi cercano la bellezza?
«Forse la cercano ma sono anestetizzate da questo mondo omologante. Chi ha delle domande si sente fuori posto. Vedo molta trascuratezza nei riguardi dei giovani, storditi dalla quantità di immagini, stimoli, visioni».

Il suo angelo è tremendo.
«È un verso di Rilke. Sono cresciuta vicino alle scogliere delle Elegie duinesi. La banalizzazione contemporanea descrive un angelo bonario e paffuto. Il mio ha attraversato l'abisso della follia e della violenza. Anche se si è passati attraverso il non amore si può vivere con compassione... Sono stata vicino fino alla fine ai miei genitori.

Li ho accuditi e sono seppelliti insieme vicino alla casa dove vivo».

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