La battaglia di Cassino, durata dallautunno del 1943 alla primavera del 1944, fu così atroce da far rimpiangere ai soldati tedeschi il fronte di Stalingrado. Vittime innocenti di quella carneficina furono soprattutto i civili, rimasti intrappolati tra i due eserciti che si combattevano rabbiosamente: da una parte i tedeschi e dallaltra laccozzaglia delle truppe alleate.
Nessuno ha narrato lorrore vissuto da quei civili. Chi ha veramente sofferto non ne parla volentieri perché ha il pudore del male. I grandi dolori sono muti. È quello che traspare dal delicato e pulito racconto di Maria Luisa Santoro, La mia guerra (Editore Ciolfi, Cassino, pagg. 96, euro 8), anche lei coinvolta, insieme con la sua famiglia, negli avvenimenti bellici che sconvolsero e funestarono la zona intorno a Montecassino.
Ma le andò relativamente bene, perché il suo paese, Alvito, si trovava nelle retrovie rispetto al fronte vero e proprio, dove luragano di fuoco non cessava mai né di giorno né di notte. Inoltre, quelle retrovie erano occupate dai tedeschi, che con la popolazione civile furono molto più umani degli alleati. So che la cosa può sembrare strana, ma si vede che nella zona di Cassino erano capitati i tedeschi buoni.
La Santoro si attiene ai fatti e narra senza enfasi. Di solito i libri di guerra sono pieni di retorica che è ancora più insopportabile delle bombe. Ma qui non cè retorica e lautrice non indulge al pianto o alle geremiadi. Se mai ci scappa qualche flosculo, esso è dovuto soprattutto allo stile. Parte dai ricordi di giovane studentessa imprintata di fascismo come tutti i giovani dellepoca e, con penna assai scorrevole, arriva al momento della delusione, quando il cielo si rannuvola e sulla Linea Gustav incominciano a cadere piogge di bombe.
Le pagine più intense del racconto riguardano proprio i bombardamenti americani. Il più infame fu quello che distrusse la celeberrima abbazia benedettina di Montecassino. I tedeschi che prima erano tenuti rispettivamente lontani dal monastero e ne avevano messo in salvo la preziosa biblioteca, vi si fortificarono dopo la distruzione, ben sapendo che è molto più facile difendersi in mezzo alle macerie che in un edificio intatto.
Trovandosi nelle retrovie, la Santoro non poté vedere con i propri occhi la distruzione dellabbazia; ma è possibile che i tuoni delle bombe arrivassero anche al suo orecchio. Resta il fatto che quella distruzione «fu solo un inqualificabile atto di pirateria dovuto allignoranza e allincoscienza degli alleati», come scrive lautrice, «che rimarrà vergogna perpetua delletà nostra e della nostra civiltà». E le vittime civili, di cui è difficile calcolare il numero? Visto che la Santoro sa e ama il latino, diciamolo allora in latino: «Sed ignotis perierunt mortibus illi» (ma della loro morte non si ebbe notizia).
Questo è un buon libro, ben pensato e ben scritto. I giovani che fanno indigestione di ghiande ideologiche possono rifarsi il palato.
Del resto, il primo libro in Italia tu stampato proprio dai benedettini di Montecassino. La tradizione continua.