E ora si presume che noi dovremmo ridere. Ma che cosa c'è stato mai da ridere nel ritorno di Daniele Luttazzi, per fortuna a ora tarda, sabato notte, sui teleschermi italiani, con il programma Decameron? Al di là della sorprendente e deludente caduta di stile di una rete come La7, che di norma si distingue per programmi magari poco visti, ma sicuramente di buono quando non ottimo livello qualitativo, da ridere non c'è stato proprio nulla. Un colossale nulla a cui comunque qualcuno - nella folta schiera dei critici televisivi che si autoreputano intelligenti, scelleratamente trasgressivi e politicamente corretti - tributerà di certo onori e gloria. La realtà, agli occhi, alle orecchie, ma soprattutto allo stomaco di una persona come chi scrive, che critico televisivo non è, ma che fortunatamente è soltanto un comune mortale di media intelligenza e prevedibile buongusto, è risultata infatti ben altra: un inutile e fastidioso cumulo di volgarità.
Facendo così violenza a quell'intimo, insopprimibile e personale buongusto, e ricorrendo invece provocatoriamente proprio agli stilemi e al fraseggiare che hanno quasi sempre caratterizzato sui teleschermi le esibizioni dell'ex giovane democristiano romagnolo - fu consigliere comunale scudocrociato, nella sua Sant'Arcangelo, questo in pochi lo sanno - si può affermare che la sgradevole sensazione rimasta dopo questo suo ritorno in video sia qualcosa che ricorda il disgustoso esito di un brufolo schiacciato o certi innominabili rumori plebei. Che forse, anzi sicuramente, è proprio ciò che lui, il Luttazzi, voleva ottenere.
Sommersi, quasi seminascosti sotto questa valanga maleodorante messa in scena da Luttazzi in siparietti che al confronto avrebbero fatto assurgere a livello di un sir Laurence Olivier anche il più dozzinale dei guitti del vecchio avanspettacolo romano - quello del gatto morto in palcoscenico e del «facce ride!», per intenderci - spuntavano poi qua e là, come alibi da esibire ai gonzi (i critici televisivi di cui sopra e il pubblico che della loro prosa si pasce), alcuni rari spunti di presunta satira politica. Dove erano del tutto assenti sia la satira sia la politica. Spunti così esageratamente scontati e schierati da sembrare a loro volta, appunto, grottesche forme di parodia della satira politica stessa.
Facendo giungere alla conclusione che se fu sicuramente un duplice e oltretutto controproducente errore da parte del centrodestra l'allontanamento dalla Rai di Enzo Biagi e Michele Santoro - in quanto, comunque la si pensi, due indiscutibili professionisti - lo stesso non si può dire per Luttazzi, rivelatosi ancora una volta mero professionista del nulla, affabulatore da suburra, clown assolutamente triste, inquinatore dell'etere. Perché questo è il punto: senza di lui l'aria - o l'etere, appunto, dato che parliamo di tv - sarebbe di sicuro più pulita. Libera da impurità.