Cultura e Spettacoli

Dexter Filkins, il reporter da Pulitzer che ci porta «dentro» la guerra

Inviato del «New York Times», con le sue corrispondenze dall'Iraq e dall'Afghanistan ha fatto vincere al suo giornale il prestigioso riconoscimento per la categoria «reportage internazionali». Che oggi sono diventati un libro. Imperdibile

Quando lo scorso anno fu annunciato che il premio Pulitzer, il massimo riconoscimento giornalistico mondiale, sarebbe stato aperto, per la prima volta nella sua storia, anche ai siti Internet indipendenti, molti addetti ai lavori (e non solo) profetizzarono una debacle della carta stampata e un trionfo invece di reportage, inchieste e servizi fotografici realizzati ondine, a ulteriore dimostrazione della lenta agonia dei giornali di carta e dell'affermazione ormai completa dei «nuovi» media. Sappiamo come è andata. Tre giorni fa sono stati proclamati i vincitori e i numeri parlano chiaro: carta batte web 21 (tante sono le categorie del premio fondato nel 1917 dal magnate della stampa statunitense Joseph Pulitzer) a 0. Nessun sito web è stato premiato.
Ciò ovviamente non significa che il giornalismo «formato Internet» non sia degno di essere considerato "vera" informazione - anzi! - ma vuol dire almeno che quello su carta sa ancora fare la sua parte. Spesso, anche di più. E a volte, sfiora addirittura la letteratura.
Un esempio? Il lavoro del giornalista americano Dexter Filkins, che per il «New York Times» ha scritto alcuni fra i reportage di guerra più crudi e quindi più "veri" degli ultimi anni, e che dal 1998 a oggi ha vissuto tra Afganistan e Iraq, assistendo in diretta alla tragedia che ha sconvolto questi due paesi che nel giro di dieci anni hanno conosciuto guerre di invasioni, scontri interni per la conquista del potere, guerre civili. Una testimonianza unica nel suo genere per affidabilità e accuratezza del racconto, per il livello di scrittura e per il punto di vista assolutamente privilegiato: la prima linea. Oggi è possibile leggere le sue corrispondenze - che quest'anno sono valse al «New York Times» la vittoria del Pulitzer nella categoria «reportage internazionali»- grazie al libro, appena pubblicato in Italia da Bruno Mondadori, dal titolo «Guerra per sempre». Un libro bellissimo per chi odia la guerra ma ama la storia (e il giornalismo). Un libro che racconta alcune delle più feroci e terribili battaglie della guerra in Iraq (tra le quali spicca quella di Falluja del novembre 2004: è il prologo del libro e possiede una forza e una violenza di scrittura pari alla sequenza di apertura del film «Salvate il soldato Ryan» di Spielberg), l'incontro con i capi talebani e i signori della guerra in Afganistan, l'Iraq prima e dopo Saddam e la stessa America di fronte alla guerra (Filkins, nel 2001, è stato tra i primi giornalisti a «entrare» a Ground Zero dopo il crollo delle torri gemelle). Dai bambini che giocano "spensieratamente" nei campi minati ai combattimenti dei giovanissimi marines americani in shock adrenalinico, dalle esecuzioni collettive dei Talebani nello stadio di Kabul al disperato medico iracheno che assiste all'ospedale di Nassiriya i civili feriti dai bombardamenti americani, un lungo reportage «dentro» la guerra, più che «sulla» guerra. Un libro splendido, e purtroppo necessario per comprendere meglio il rapporto fra Islam e Occidente.

E anche a capire il grado elevato che il giornalismo "di carta" può ancora toccare.

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