DIPLOMAZIA Con lui Usa e Urss furono più vicini che mai alla terza guerra mondiale

Ci sono stati molti John Fitzgerald Kennedy. C'è stato il viziato figlio di papà, eletto per merito della famiglia. C'è stato il figlio imbrigliato nel ruolo di predestinato. C'è stato il soldato eroe, ferito in battaglia, ma capace di salvare i propri commilitoni. C'è stato l'uomo schiavo degli antidolorifici fino a trasformare la cura in una dipendenza. C'è stato il marito fedifrago, incapace di rispettare la moglie. C'è stato l'intellettuale sensibile che ha vinto il premio Pulitzer in storia. C'è stato il presidente risoluto, capace di prendere decisioni fondamentali in poco tempo. C'è stato il mito, alimentato dalla sua storia personale e dalla morte. Il mondo ha avuto tutti questi Jfk. E nel complesso questo ha creato la leggenda di un uomo durato troppo poco per incidere davvero nella storia. Mille giorni da presidente e però una «vita» intera dopo la morte per alimentare la fiaba del presidente che avrebbe voluto e dovuto cambiare il mondo.
Il tempo ha sbiadito l'immagine di Jfk trasformandola in un'icona spesso deformata della retorica buonista. E se non era un santo John, non lo sono stati gli altri. Così l'America ha cominciato a rimuovere, a sostituire, a incasellare: hanno fatto un po' di storia, ma possono essere messi da parte. La forza di Kennedy è stata il suo magnetismo e la sua indiscutibile capacità di arrivare immediatamente alla gente. Fu il primo, vero, presidente mediatico. Fu il primo, vero, leader che l'America trattò come se fosse un monarca. Chiamare «Camelot» la dinastia politica del Massachusetts non era soltanto un modo semplicistico di definirla, ma una specie di rispetto formale che i media e la gente hanno sempre avuto nei confronti dei Kennedy. Come se fossero superiori. Come se fossero diversi. Come se dentro avessero sangue nobile. La realtà è diversa e la storia l'ha raccontato: John fu costruito politico dal padre Joseph. Il patriarca aveva deciso che il prescelto per Washington fosse Joe Jr, fratello maggiore di John, ma Joe Jr morì in guerra. Così toccò a John. Pur di farlo eleggere senatore, il padre fece di tutto: alleanze, affari, scambi, aiuti, promesse. D'altronde gli storici concordano sulla figura di Kennedy senior: ricchissimo e con pochi scrupoli, ambizioso, spregiudicato. All'inizio John (e soprattutto Bob, il fratello minore poi nominato segretario alla Giustizia di Jfk) ne fu succube. Poi no. E chiunque oggi cerchi di giustificare la parte negativa del carattere di Kennedy con il cattivo rapporto col padre, commette un errore. John diventò presto un politico scaltro e seppur con un padre ingombrante prese decisioni sue che ne caratterizzarono la personalità e per certi versi anche la presidenza. Ebbe molte debolezze umane, delle quali la dipendenza dai farmaci fu forse la minore. All'epoca, comunque, molti dei comportamenti politicamente scorretti del presidente furono tenuti segreti. Furono scoperti molto tempo dopo, quando il muro di retorica del dopo morte cominciò a cadere. Allora si scoprirono per esempio i molteplici tradimenti alla moglie Jacqueline, a cominciare da quello celebre con Marilyn Monroe per finire con le altre numerose amanti con cui si accompagnò.
Nonostante questo, comunque, il mito di Kennedy è rimasto intoccabile per molto tempo. Chiunque si sia permesso di criticare il presidente per anni è stato arginato o sconfessato. Il kennedismo è stata una religione laica, che a volte è sconfinata nella retorica liberal. La morte misteriosa ha alimentato il mito. A oggi nessuno sa davvero chi e perché abbia voluto la morte del presidente in quello che è l'assassinio politico più importante della storia dell'umanità. Circolano le piste più fantasiose e le più realistiche. Neanche l'apertura dei fascicoli segreti dell'inchiesta ha svelato il mistero. Un complotto incredibile e complesso che resterà irrisolto. La mancanza della verità alimenta a sua volta il mito di un presidente che ben prima di Obama aveva rotto molti tabù: il più giovane eletto alla Casa Bianca (aveva 43 anni), il primo cattolico a guidare il Paese, il primo a diventare un idolo per generazioni. Molte di queste cose attengono a una sfera che c'entra poco con quanto ha fatto davvero nella sua breve esperienza da presidente e c'entrano molto, invece, con l'era nella quale ha vissuto. La tv che cominciava a raccontare tutto, l'epoca dell'immagine che era agli albori, il benessere diffuso in America che generava sogni identificati dalla vita e dal fascino di quest'uomo bello e potente.
Politicamente, comunque, Jfk fu un grande oratore. Un uomo capace di trascinare la folla con una frase. Celebre la sua storica: «Non chiedere che cosa può fare il tuo Paese per te, chiedi che cosa puoi fare tu per il tuo Paese». Quel discorso e quel passaggio così semplice e così efficace fu la base per il lancio, nel 1961, dei Peace Corps, i Corpi di Pace, per facilitare l'impegno dei cittadini americani verso la pace e per i diritti umani nei Paesi sottosviluppati. Stesso effetto magico ebbe l'altra frase storica del presidente. Quella pronunciata a Berlino Ovest: «Ich bin ein Berliner», «Io sono un berlinese», disse davanti a un milione di persone nella parte occidentale della città in quello che per molti è il discorso politico più importante del Novecento.
Nella gestione delle crisi, Kennedy non era altrettanto bravo. Quelli della sua presidenza furono alcuni tra gli anni più duri della guerra fredda. Kennedy e il suo staff gestirono malissimo la crisi della Baia dei porci. L'America aiutò solo a parole e finanziò l'insurrezione dei fuoriusciti cubani che volevano rovesciare Fidel Castro. Non mandò aerei in soccorso come chiedevano i ribelli e la missione fu quindi un fallimento. I sovietici presero la mossa come una clamorosa provocazione e risposero costruendo il muro di Berlino. Poi tornarono sul caso cubano trasportando missili sul territorio caraibico in grado di colpire le coste americane. Kennedy rispose con l'embargo totale. In quei giorni il pianeta andò vicinissimo, più vicino che mai, alla terza guerra mondiale. E tutto per un errore del presidente americano. La risoluzione della crisi fu presa come una vittoria di Kennedy.

La realtà è diversa, ma una bella storia spesso non può essere rovinata con la verità.

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