È la discendenza il vero fondamento della famiglia

Vittorio Mathieu

A Subiaco, ospite del monastero benedettino, c’è una fondazione «Vita e Famiglia», che ha tenuto un convegno sui due termini che le danno il nome. La Fondazione non occorre dirlo, vorrebbe vederli legati più strettamente di quanto siano oggi.
La continuazione della specie (almeno fin quando il professor Antinori non abbia divulgato metodi più raffinati) è affidata alla riproduzione sessuale e la famiglia è l’istituto che regola giuridicamente questo fatto. Nella tradizione cristiana la famiglia si fonda su un matrimonio monogamico, ma la famiglia ha conosciuto, e ancora conosce, altre forme disparatissime. E oggi mentalità e costume, in Occidente, mettono in crisi, non solo il matrimonio cattolico, ma qualsiasi istituto matrimoniale. Lo mette in crisi con quelle che son dette «coppie di fatto»: oggetto di un dibattito anche politico, che attraversa tutti gli schieramenti.
Perché si parli di «coppie» è facile capirlo: la riproduzione sessuale avviene grazie all’accoppiarsi di due persone di sesso diverso. La spinta immediata all’accoppiamento non è il desiderio di perpetuare la specie, anche se sullo sfondo rimane questa nobile aspirazione: è una pulsione istintiva, che la natura (poco incline a fidarsi degli appelli dell’Onu a preservare dalla distruzione la specie umana) ha immesso in uomini e donne indistintamente. L’impulso è alimentato dal piacere sessuale e specialmente nelle donne, è prolungato da un istinto a curare i piccoli.
Ma c’è un inconveniente. Per ragioni che non c’è modo qui d’indagare, accade che, in certi casi, il piacere sessuale si provi in accoppiamenti entro lo stesso sesso, da cui non si dà caso che nasca una qualsiasi prole. Si parlerà anche qui di coppie di fatto? Mentre i liberali (oggi vicini alla destra) le giudicano un’anomalia, i «radicali» (oggi vicini alla sinistra) dicono che, di fatto, esse sono coppie come tutte le altre.
A Subiaco gli organizzatori avevano avuto cura d’invitare anche rappresentanti del centrosinistra e su un punto destre e sinistre erano d’accordo: tutti pessimisti sulla possibilità di conservare in Occidente qualsiasi tradizione: cattolica, protestante, puritana, illuministica o romantica che sia.
Qui tralascio gli argomenti etici e mi limito alla politica. Per giungere a qualsiasi decisione, la politica deve tener presente che l’ordinamento giuridico attuale non si occupa di come le persone soddisfino le loro pulsioni sessuali (quando non implichino fatti criminosi, ad esempio, sadici): si occupa della discendenza. Pertanto le coppie (o le n-ple) omosessuali non hanno alcun rilievo. Per le altre, stabili o instabili, può essere al contrario necessaria una regolamentazione che, peraltro, per il fatto stesso di esserci, rende anche quelle «coppie di diritto», sia pur regolate da norme diverse dal matrimonio tradizionale. Può darsi, ad esempio, che il membro di una coppia «stabile» subentri al defunto come titolare di un contratto di locazione; e così via. Le «ragazze madri», poi, è opportuno (e, a mio parere, giusto) che siano aiutate ad allevare i figli. Ed è bene che coppie non unite in matrimonio siano equiparate alle altre nell’assegnazione di alloggi a prezzo controllato, quando mettono su famiglia, perché nella vita d’oggi allevare figli è non poco oneroso.
Ma la semplice convivenza non giustifica nulla del genere, e può avere ragioni che nulla hanno a che fare con il sesso e la procreazione. Persone (per lo più dello stesso sesso) abitano a volte in comune per ridurre le spese, e i rapporti sessuali, che eventualmente abbiano tra loro o fuori casa, sono irrilevanti. Non si vede perché avere rapporti etero o omosessuali dovrebbe costituire un privilegio. Vi sono persone - ad esempio un compositore come Arcangelo Corelli o un giurista come Mario Allara - di cui nessuno è mai stato in grado di accertare se abbiano o no rapporti sessuali: i loro meriti sono diversi.
Si smetta dunque di arzigogolare sulle coppie e si pensi alla prole, che è il vero oggetto del diritto di famiglia. Questo andrebbe considerato come una parte del diritto pubblico, non del privato. Lo insegnava appunto Mario Allara (che perciò mi è venuto in mente). Il codice civile del ’42 continuerà ad abbracciare il diritto di famiglia, ma nel clima politico di allora pubblico e privato tendevano a confondersi.

Nel clima d’oggi, che tutti pretendono «liberale», cercar di nobilitare interessi legittimi, ma del tutto privati, con l’imitazione di cerimonie pubbliche davanti al sindaco, abbigliamenti vistosi e torte nuziali è un omaggio alla tradizione, da parte di chi vuole staccarsene, che è del tutto fuor di luogo.

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