Il Discovery atterra dopo l’ennesimo rinvio

Rientro senza danni per lo Shuttle. Cambio di pista in extremis a causa del maltempo che colpiva la Florida

Nino Materi

C’è chi - scherzando - sostiene che sia atterrato di notte per non dare nell’occhio, quasi si vergognasse di apparire alla luce del sole. Ovviamente le cose non stanno così, anche se è indubbio che il colore nero sia quello che meglio si addice alla missione spaziale che ieri alle 5.12 locali (le 14.12 italiane) si è conclusa «felicemente» col rientro a casa dei sette astronauti dello shuttle Discovery. «Felicemente» si fa per dire, visto che pure ieri la sfortuna (sottoforma di avverse condizioni climatiche) ha fatto slittare l’atterraggio per altre due volte, che fanno tre se si considera anche lo stop forzato (sempre causa maltempo) dell’altroieri. Per riuscire a scrivere il fatidico «the end», la Nasa ha dovuto però cambiare in extremis perfino la pista di atterraggio: quella della base Edward Air Force in California, al posto dell’originario centro Kennedy in Florida.
Una conclusione tribolata, perfettamente in linea con le tante peripezie succedutesi durante i 14 giorni di viaggio celeste; ben tre le «passeggiate» spaziali da parte degli improvvisati «cosmonauti-carrozzieri» alle prese con riparazioni di varia natura: dalle piastrelle dello scafo, allo scudo termico. Tutto dimenticato quando l’applauso del centro di controllo di Houston ha accolto la scaletta dello shuttle che si è aperta lasciando il proscenio alle sette tute blu elettrico degli astronauti finalmente liberi da paure e angosce. Le stesse che in queste due settimane hanno attraversato i vertici della Nasa, dove ormai si è convinti che la missione Discovery abbia segnato un punto di non ritorno, con la definitiva archiviazione degli shuttle dall’«agenda di viaggio» dell’Agenzia spaziale americana. Una circostanza che nessuno ammetterà mai, anche perché la cosa suonerebbe come una clamorosa sconfessione del progetto di «conquista planetaria» annunciato da Bush in campagna elettorale. L’ufficialità delle reazioni è infatti tutta di segno opposto: «È una giornata di orgoglio per l'America», ha commentato un portavoce della Casa Bianca da Washington, dopo l’atterraggio del Discovery.
Sorrisi tirati anche dal centro di controllo di Houston, che ha seguito tutte le operazioni e condividendo con i sette astronauti (due donne e cinque uomini, tra cui un giapponese) tutti gli incerti del viaggio. Lo shuttle era stato lanciato il 26 luglio ed è stato in orbita per 14 giorni, due più di quanto previsto. Complessivamente, la navetta ha coperto quasi 9,3 milioni di chilometri e ha visto 229 tramonti.
Subito dopo l'atterraggio, la comandante Eileen Collins ha trasmesso via radio al Centro di Controllo della missione a Houston in Texas: «Ci siamo fermati». La risposta è stata: «Benvenuti a casa, amici».


Intanto il capo della Nasa Michael già promette: «Proveremo con tutte le forze che abbiamo a ritornare nello spazio». Ma sicuramente non più a bordo del vecchio shuttle. La corsa al nuovo «missile» è già cominciata.

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