Cultura e Spettacoli

Come districarsi nel labirinto simbolico dei colori

Il blu è il colore che domina il nostro occidente: «garante dei conformismi, regna sui jeans e sulle camicie. Gli hanno perfino affidato l’Europa e l’Onu». Eppure ai romani non piaceva, forse perché era il colore degli occhi dei barbari; ci volle il cristianesimo, la Vergine, il cielo come promessa dell’aldilà per imporlo sugli altri colori. Primo tra tutti, il rosso. «Fin dall’antichità lo si ammira e gli si attribuiscono i simboli del potere, ovvero quelli della religione e della guerra. Il dio Marte, i centurioni romani, certi sacerdoti... sono tutti vestiti di rosso.
Questo colore s’imporrà perché rimanda a due elementi, onnipresenti in tutta la sua storia: il fuoco e il sangue». Il rosso, quindi, è la tonalità delle grandi e, spesso, maledette passioni umane, il potere e il sesso, tutte quelle cioè che hanno a che fare con il sangue e la carne. Il rosso è la forza ma anche la violenza, è la potenza dell’uomo ma anche l'impeto della rivoluzione e, soprattutto, il riverbero di Satana, ed è chiaro, allora, che in una civiltà esangue come la nostra stia tramontando come un sole che non ha più sangue con cui colorare il cielo.
Poi c’è il bianco, ed è facile indicarne la purezza; attenzione, però, è anche il vuoto, l’assenza, la pagina senza parole, il portafogli che non ha più soldi, l’amore privo di sesso: vita e morte, quindi, il bianco, essere e nulla, principio e fine. Come il nero, il nero «dell’autorità, quello dei giudici, degli arbitri, delle auto dei capi di Stato e così via». Il nero del lutto, perché il corpo diventa cenere scura e gli occhi che si chiudono sprofondano nel buio, certo, ma allora perché oggi è proprio il nero il riflesso dell’eleganza? Il nero e non di sicuro il giallo, che è invece il segno dell’infamia, giallo era la veste di Giuda e gialla la stella con cui i nazisti sceglievano la carne da bruciare, «giallo come le foto che svaniscono, come le foglie che muoiono, come gli uomini che tradiscono». Ma non è il solo: anche il verde, il verde della serenità e del riposo, delle valli svizzere e dei prati di montagna, perfino il verde, se non oggi almeno ieri, è il segnale di un possibile tradimento o comunque di un’inquietudine: «Il verde è il colore del caso. Del gioco, del destino, della sorte, della fortuna (...) rappresenta la sorte ma anche la malasorte, la fortuna ma anche la sfortuna, l’amore nascente ma anche l’amore infedele, l’immaturità (dei frutti verdi) ma anche il vigore (la verde vecchiezza)».
Blu, rosso, bianco, nero, giallo, verde: sono i sei pilastri estetici, politici, filosofici, religiosi, morali, su cui l’Oriente e l’Occidente, ieri e oggi, hanno costruito, di volta in volta, preferendone uno e bandendone un altro, le loro civiltà: perché tutto il resto, dal rosa al grigio, è soltanto un corollario, un’appendice.
E l’armonia di questi sei pilastri, il loro ritmo, i simboli che esprimono e quelli che celano sono un universo infinito che Michel Pastoureau, il più grande specialista mondiale, come storico e come antropologo, dei colori, e Dominique Simonnet, giornalista dell’Express, raccontano e svelano, sotto forma di intervista, in questo gioiello che è Il piccolo libro dei colori (Ponte alle Grazie, pag. 105, euro 10). Dove, accanto a una sterminata miniera di notizie, ognuna delle quali apre uno squarcio nuovo sulla storia, come se si guardasse sotto una luce diversamente colorata fatti ed episodi già noti eppure finora ignorati, Pastoureau intesse una sinfonia in cui ogni colore, come una nota, trova la sua giusta e unica collocazione nella storia dell’uomo e in quella, ancora più misteriosa e sconosciuta dei suoi simboli; svelando, uno dopo l’altro, i segreti di episodi e scelte, di valori e significati fino a quel momento rimasti incomprensibili e che, all'improvviso, trovato e spiegato il colore giusto, si aprono alla lettura giusta.


Con il risultato che, dopo aver letto questo piccolo trattato storico filosofico, diventerà impossibile guardare un quadro, osservare un particolare della storia, il vestito di un re, o il colore di un monumento, ma anche una fotografia o un’immagine televisiva di oggi, un personaggio e o qualsiasi altra cosa, senza chiedersi perché si è scelto, in quell'occasione, quel colore, che cosa si vuole esprimere e che cosa, soprattutto, si cerca di nascondere.

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