Cultura e Spettacoli

Le donne arabe si svelano E mostrano anima e corpo

Temi dei racconti: sesso, omosessualità, Islam, integrazione. Ecco come si può combattere con la penna per costruire un mondo diverso

Le donne arabe si svelano E mostrano anima e corpo

In tempi caldi in cui si parla di una Consulta dei musulmani d’Italia, di Islam moderato e di una componente del mondo arabo che vuole dialogare con l’Occidente, può essere istruttiva la lettura della nuova antologia Parola di donna, corpo di donna (Mondadori) che la dice lunga sulle donne arabe, il loro mondo interiore, la loro evoluzione e soprattutto il peso (o non peso) che esse esercitano all’interno della loro società, a sua volta (dis)inserita in un realtà globale sempre più scissa e lacerata da incomprensioni e conflitti.
E se qualche giorno fa Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera ha ricordato il caso inglese in cui proprio i giovani cresciuti nell’integrazione e intrisi di cultura europea sono coloro che si mostrano i più permeabili al messaggio terrorista, è anche vero che dietro a ognuno di loro si suppone esista una figura materna che li abbia educati (o non educati) alla vita. Da un lato esistono madri educatrici e desiderose di porre fine al terrorismo, compatibili con i nostri valori, stanche di provare ogni giorno la paura di non abbracciare più i loro ragazzi che escono per andare a scuola (sacralità della vita di tutti); dall’altro madri despote e integraliste, emanazioni di forze politiche che strumentalizzano la religione per affrancare il proprio potere, come quelle che rifiutano un figlio che ha avuto il solo torto di convertirsi al cristianesimo (come in uno dei racconti nell’antologia). E infine, ci sono le “nuove donne” che cercano scenari alternativi a quelli in cui sono state confinate finora e che hanno scoperto di avere un corpo oltre alla facoltà di parola e al diritto fondamentale della persona. L’antologia offre in questo senso una riflessione proprio su quella parte di universo femminile che ha deciso di combattere con la penna per se stesso e di conseguenza «per un mondo migliore», al di là della retorica e facili buonismi.
Al Hayat, il quotidiano arabo stampato a Londra e diffuso in tutto il mondo, il 10 luglio ha dedicato al libro un’intera pagina. Si tratta di un’antologia di scrittrici arabe contemporanee, tradotte ora anche in italiano, a cura di Valentina Colombo, docente di Lingua e letteratura araba all’Università della Tuscia e traduttrice del premio Nobel Nagib Mahfuz. Il volume - una raccolta di 31 racconti, tra cui alcuni inediti negli stessi paesi di provenienza - ha suscitato un grande interesse soprattutto nel mondo arabo, tanto da essere ripreso da molti siti internet e in questi giorni tema di dibattito. La novità, ha sottolineato con un certo stupore il quotidiano, è di vedere riunite per la prima volta autrici più o meno note provenienti da paesi arabi così lontani e diversi, accomunate soltanto dalla lingua e dalla volontà di far sentire la propria voce. Non c’è infatti alcun filo logico che unisce queste donne di un macrocosmo sfaccettato, contenitore di fedi e umori diversi, venato da sfumature non sempre leggibili per noi occidentali.
Sono autrici che provengono da Marocco, Irak, Siria, Libano, Arabia Saudita, Yemen e non solo, tutte che impugnano la penna per mettere nero su bianco problemi, idee e fantasia ed entrare in scena senza l’intermediazione di voci maschili. Parlano di amore, sesso (anche spinto), matrimonio, famiglia, uomini, apostasia, omosessualità, religione, terrorismo, questioni sociali e politiche. «Scrivono con disinvoltura e in modo accattivante - spiega Valentina Colombo - mai si sono nascoste dietro uno pseudonimo, nemmeno quelle che hanno trattato i temi più spinti». Scrittrici senza velo, dunque, che stanno crescendo in modo esponenziale in tutto il mondo arabo; donne che escono allo scoperto per esprimere pubblicamente opinioni e sentimenti. E se lo stile talvolta lascia a desiderare - si incontrano qualche goffaggine e qualche ingenuità - i contenuti sono quasi sempre di spessore, indicatori di una femminilità intrigante e in trasformazione, ma soprattutto che s’interroga su se stessa e le cose del mondo.
Sono racconti di eccezioni e di ordinaria quotidianità, che denunciano prevaricazioni e soprusi, come ad esempio l’arbitraria applicazione delle leggi coraniche che vede troppo spesso punita soltanto la donna in caso di adulterio. Molte cominciano così a non vedere più nel matrimonio l’unica via di uscita, altre invece - come alcune ragazze saudite “per bene” - preferiscono convolare a nozze pur di non rimanere sole; altre ancora sono riuscite a diventare dirigenti o piloti d’aereo... Consapevolezza e autostima sono insomma le nuove sfide di chi si vuole costruire il proprio destino. Le donne dei racconti sanno provocare e provare desiderio; sanno vivere passioni, ma anche rifiutare la poligamia in nome della propria dignità. Rimangono fedeli alle tradizioni ma solo se in sintonia con una nuova Weltanschauung fabbricata su misura. E se la realtà diventa insostenibile, allo strizzacervelli preferiscono (per ora) il rifugio consolatorio e visionario di antiche fiabe e leggende, al riparo dal rischio di implosione o di follia.
Un racconto fra tutti che bene sintetizza lo stato attuale delle cose è quello di Haifa Mangana, scrittrice nata a Bagdad nel 1950 che dopo aver trascorso un certo periodo nelle patrie galere ai tempi di Saddam si è trasferita a Londra dove vive dal 1976: un ragazzo e una ragazza abbandonano l’Irak con un visto falso; partono con una ferita nel cuore che sperano di sanare vivendo e lavorando in un Paese nel quale da sempre hanno sognato di abitare. Svolgono qualunque tipo di lavoro, da panettiere a portiere di notte lui, da domestica a baby-sitter lei. Studiano, imparano l’inglese, indossano abiti inglesi, mangiano cibi inglesi, si meravigliano della parsimonia razionale degli inglesi e rimproverano la voglia di sperperare degli iracheni. Per loro tutto ciò che è inglese equivale a democrazia civiltà e tutto ciò che è iracheno a severità e arretratezza. Nell’arco di una generazione si integrano, si sposano, acquistano una casa, lui diventa professore di matematica, lei insegna arte in una scuola media e mettono al mondo una bambina che diventerà, a sua volta, una perfetta cittadina britannica «senza nostalgia per la preistoria». Ma poi, un bel giorno, scoppia la guerra con l’attacco a Bagdad. Per l’uomo e la donna che hanno abbracciato costumi e tradizione nuovi, di colpo si frantumano sogni e certezze: i servizi segreti indagano su di loro in quanto iracheni mentre un clima di sospetto li circonda. Fino a quando un giorno, mentre la donna s’incammina nei pressi di Buckingham Palace, due giovani inglesi l’aggrediscono a suon di pugni e calci al grido di Go back home, you bloody foreigner!
Qui finisce il racconto-storia vera, ma subito dopo, ne inizia un altro: una copia di coniugi affranti decide di lasciare Beirut per andare a vivere a Parigi dopo che un proiettile vagante ha ucciso la loro incolpevole figlia... Piccole storie di piccole esistenze che fluttuano in una tragica realtà.
m.

gersony@tin.it

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