Cultura e Spettacoli

Donne, scrittori e libri: i segreti di Mr Bellow

Pubblicato l’epistolario del premio Nobel 1976: oltre 700 lettere ad amici e nemici, familiari e colleghi che spiegano la sua opera. Datate tra il 1932 e il 2004 parlano delle sue opere, dei divorzi e degli "errori più comuni"

Molti scrittori sono deludenti corrispondenti e molte delle lettere che scrivono hanno solo un rapporto marginale con la loro opera. Non nel caso di Saul Bellow (1915-2005), il premio Nobel per la letteratura nel 1976, indimenticabile autore di Herzog, Le avventure di Augie March, Il mago della pioggia e molti altri capolavori, la cui narrativa scaturiva sempre dalle sue esperienze personali, un’«autobiografia superiore» l’ha definita Martin Amis. Nel 1992 lo scrittore dichiarava in una lettera a Stanley Elkin: «Preferisco pensare alle pagine di narrativa che scrivo come a lettere rivolte alla gente che amo, per la maggior parte degli sconosciuti».
Non solo non c’è un vero stacco fra i romanzi di Bellow e la sua corrispondenza, ma una ricca edizione delle sue lettere pubblicata postuma è oggi un evento letterario che già pone l’epistolario fra i libri più belli dello scrittore, morto nel 2005. Uscito in questi giorni in America e in Inghilterra, Letters of Saul Bellow (Viking, pagg. 572, sterline 30; a cura di Benjamin Taylor) raccoglie circa 700 lettere, due quinti della corrispondenza dello scrittore, scritte fra il 1932 e il 2004. Sono lettere che in ogni pagina rivelano l’altezza spirituale e intellettuale dell’autore, lettere energiche, profonde e impegnate, fin dalla prima scritta nel 1932 all’età di 17 anni in cui spiega alla fidanzata Yetta (che flirta con un altro) il motivo per il quale è costretto a rompere con lei - perché pur pensandola notte e giorno, i suoi pensieri per lei non sono gentili, «sono pungenti, sferzanti... perciò rompo ogni rapporto con te» - fino all’ultima, del 2004, in cui racconta di non fare più granché, salvo giocare con la sua bambina Rosie, di quattro anni.
Si sarebbe tentati di considerare questo epistolario, indirizzato a quattro generazioni, come l’autobiografia che Bellow non scrisse, ma è soprattutto un autoritratto che emerge, assieme al ritratto di un’epoca. I destinatari sono infiniti e svariati: mogli, figli, amici d’infanzia, scrittori, amanti, studenti, il ventaglio umano di una vita impegnata a scrivere romanzi, a sposarsi, a divorziare, a fare il padre, a trattare con gli amici, con i nemici, con il dolore, con i grandi eventi della storia e i piccoli eventi della vita letteraria, a nutrire la sua prodigiosa voracità di lettore, e la sua devozione all’insegnamento.
Molte lettere riguardano la sua vita sentimentale e domestica più che mai contorta, i suoi matrimoni e i suoi continui divorzi: «Tutto questo sposarsi e divorziare è un’idiozia», scriveva nel 1960. Alla fine Bellow avrà cinque mogli e quattro divorzi. Soltanto nel 1980 ammette in una lettera, indirizzata a un vecchio amico, che forse la sua vita erotica è stata distorta dalla sua devozione alla scrittura: «Mi sono divertito con una specie di indiscriminazione da executive – senza nessun particolare interesse nelle donne». Il lamento continua nelle lettere del 1977 all’amante Margaret Statts: «Non sono affatto speciale, ho commesso gli errori più ovvi e comuni».
Bellow è generoso con gli scrittori che ama e rispetta: confessa a Philip Roth di aver riconosciuto in lui lo scrittore autentico fin dalla lettura del suo primo libro. Ricorda: «Quand’ero bambino, c’erano ancora in giro i fabbri ferrai, e non ho mai dimenticato il suono di un martello vero su un’incudine vera». Con quelli che non rispetta, invece, è feroce. A William Faulkner, che gli aveva chiesto di appoggiare la petizione per la liberazione di Ezra Pound, nel 1956 lancia un duro rimprovero: «Pound non è in prigione, ma in un istituto per malati di mente. Se fosse sano dovrebbe essere processato di nuovo come traditore; se malato non dovrebbe essere messo in libertà soltanto perché è un poeta. Nelle sue poesie e nelle sue trasmissioni Pound ha predicato ostilità e odio per gli ebrei. Mi chiedi davvero di unirmi a te per onorare un uomo che invoca la distruzione della mia gente?».
Romanziere delle idee, il vero Bellow emerge dai romanzi in prima persona, e la tendenza quasi ossessiva a rimuginare è confermata nell’epistolario. A Roth scrive che «in uno scrittore dovrebbe esserci un certo distacco dalle proprie passioni». In un’altra lettera allo stesso Roth è indispettito dall’idea freudiana che «la vita di un uomo non sia altro che un fronte per le operazioni dell’inconscio». «Il problema dell’antropologia - scrive altrove – è che non considera la gente in profondità».
Riflessione distaccata ma di ricerca e di lotta continua, vissuta con una scrittura di getto, l’epistolario ci consegna in toto l’uomo Bellow, esperto osservatore, come scrive nei romanzi, della dolorosa evasione dall’infanzia, del declino delle amicizie, della morte degli amici. Capace di grande amicizia, che egli considera strettamente legata ai doveri della memoria, rassicura le persone che ama, ma è pieno di disprezzo per altri: John Updike, Gore Vidal (specializzato in scandali), George Steiner (di tutti gli scocciatori il più insopportabile).
Nella sua ultima lettera, scritta a 88 anni, descrive il «piacevole diversivo» di giocare con Rosie, la sua ultima bambina. Ma dal presente passa subito al passato profondo: «pare che i miei genitori volessero che crescessi in fretta e che io invece facessi resistenza, puntando i piedi... mia madre mi comperò un paio di sandali di pelle con un elegantissimo cinturino. Li lucidavo col burro per conservare la pelle. Avevo sei o sette anni, appena più grande di Rosie.

È straordinario come tutto si riduca a un paio di sandali di pelle».

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