Sullordinanza fiorentina che vieta lesercizio del «mestiere girovago di lavavetri» infuriano polemiche talvolta fuori luogo. Una certa retorica buonista dipinge il provvedimento come eccessivo («perché prendersela con dei poveracci?») o inutile («bisogna combattere direttamente le organizzazioni che sfruttano il lavavetri, non sanzionare questultimo»). Questa retorica mostra che in Italia la cosiddetta cultura della legalità funziona in realtà a senso unico. Quando non si tratti di perseguire gli abusi dei potenti (o presunti tali), ma, più semplicemente, vi sia da proteggere la sicurezza dei cittadini comuni, fioccano i distinguo, le giustificazioni e il «benaltrismo».
Nel nostro caso, il «benaltrismo» si manifesta come il riflesso condizionato di pensare che se al semaforo rosso un anziano o una ragazza sono insultati o minacciati da un lavavetri abusivo e aggressivo, ebbene il problema non è il lavavetri, ma è appunto «ben altro»: la cultura dellintegrazione e dellaccoglienza che manca, la politica dellimmigrazione carente, il lavoro che non si trova ecc. ecc.
Va dato atto al Comune di Firenze di aver invece affrontato il problema nel modo più semplice: il lavavetri esercita un mestiere girovago, che va autorizzato dal Comune. In mancanza di autorizzazione, si tratta di un mestiere abusivo, che deve essere vietato, anche perché comporta rischi alla sicurezza dei cittadini e del traffico.
Al cittadino, ovviamente, interessa più sapere se il provvedimento è idoneo a estirpare un fenomeno fastidioso, che non conoscere gli aspetti giuridici del problema. Ma anche su questo aspetto vi sono polemiche, e trattarne può essere istruttivo. Cè chi dice che il Comune non aveva il potere di intervenire in quel modo e per dimostrarlo invoca una sentenza della Corte di Cassazione del 2002. Vi è chi addirittura lamenta la lesione del principio costituzionale di uguaglianza, perché il lavavetri «fiorentino» sarebbe discriminato rispetto a quello di altre città...
In realtà, lordinanza del sindaco di Firenze sembra fondarsi sul Testo unico degli enti locali (cioè su una legge statale), che consente al sindaco di intervenire per prevenire o eliminare gravi pericoli. La sanzione penale nei confronti del lavavetri abusivo che non rispetta il divieto, beninteso, non è prevista direttamente dallordinanza. Un Comune e un sindaco, nel nostro ordinamento, non hanno il potere di creare nuove figure di reato. Leventuale sanzione deriva, come un effetto riflesso, dallinosservanza del provvedimento del sindaco: è larticolo 650 del codice penale (cioè, come è noto, una legge statale) a stabilire la punibilità di chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato dallautorità per ragioni di sicurezza pubblica.
Quanto alla presunta violazione del principio di uguaglianza, i presupposti per lemanazione di quello specifico provvedimento, in quella specifica città, risultano da denunce ed esposti che i fiorentini hanno presentato in gran numero negli ultimi tempi, a causa della presenza di gruppi di lavavetri particolarmente aggressivi. Nulla vieta e nulla impone che altri sindaci adottino provvedimenti analoghi: dipende dalla situazione specifica e concreta della singola città. Del resto, luguaglianza di fronte alla legge, come sanno gli studenti del primo anno di giurisprudenza, non implica sempre trattamenti uniformi, ma consente che a situazioni diverse corrispondano regole diverse.
I problemi naturalmente non finiscono qui. I giuristi discuteranno se la violazione dellordinanza fiorentina integri davvero linosservanza dei provvedimenti dellautorità (cioè la violazione dellarticolo 650 del codice penale). Qualcuno rileva poi che fenomeni di questo genere meglio sarebbero combattuti da scelte normative uniformi sul territorio, onde evitare una sorta di «federalismo della delinquenza o dellabusivismo» (se so che posso lavar vetri impunemente a Canicattì mi sposterò lì).
La doppia morale sui lavavetri
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