Il doppio assedio all’identità italiana

Alberto Indelicato

La proposta di fare dell’italiano la lingua ufficiale della Repubblica ha incontrato com’è noto l’opposizione di due gruppi politici: da una parte la Lega, dall’altra i comunisti ed altri estremisti di sinistra. Le ragioni degli uni e degli altri sono non soltanto differenti ma addirittura contrapposte. Per i «padani» ci sarebbe il rischio di far perdere le radici, strettamente connesse con i dialetti, delle popolazioni che essi dicono di rappresentare; per i comunisti e loro soci si porrebbe una barriera insormontabile agli immigrati, che non parlano la nostra lingua e che non hanno alcuna voglia di impararla. La Lega vuol mantenere le tradizioni, le sinistre estreme vogliono farle perdere a vantaggio dell’impasto multiculturale.
Bisogna dire che i leghisti hanno torto anche dal loro punto di vista. Per quanto si sia legati alle parlate regionali, nessuna di esse può sostituire l’italiano: né il lombardo, né il veneto, né il piemontese, né il romagnolo. Goldoni, Alfieri e Manzoni, scrittori «padani», si potrebbero capire soltanto in italiano. I comunisti ed i loro amici hanno invece ragione: per distruggere l’identità di un Paese bisogna cominciare dalla lingua. La distruzione della lingua però non basta, bisogna andare più in là e, a questo proposito, è significativo il diverso atteggiamento adottato sulla questione delle tradizioni natalizie. Esso si ripresenta puntualmente ogni anno su iniziativa di questa o quell’insegnante elementare che, avendo nella sua classe degli immigrati non cattolici, si sente investito della missione di interpretare le loro possibili reazioni di rigetto di fronte alla cultura del Paese che li ospita. Qui è la Lega che si erge a paladina delle tradizioni nazionali, mentre alcuni membri del fronte opposto - ma non per fortuna il presidente della Camera Fausto Bertinotti - sarebbero favorevoli alle innovazioni di quegli ipersensibili insegnanti. Via dunque i presepi e largo al massimo, purché chiamati in altro modo, agli alberi di Natale, che peraltro hanno anch’essi ben poco a che fare con il Maghreb, il Mashrek e l'Africa subsahariana.
Il presepe è infatti strettamente legato alla tradizione ed alla stessa lingua italiana perché esso fu creato da San Francesco, che della nostra lingua diede uno dei primi esempi. È quindi comprensibile che alcuni vogliano abolirlo, non per evitare che si offendano i piccoli immigrati musulmani - e non si vede in che consisterebbe l’offesa - ma per far sì che essi conservino la loro identità, senza che possa essere scalfita o contaminata o - Dio ne scampi! - influenzata dalla nostra. Si vuole ignorare che lingua e tradizioni sono o dovrebbero essere un dono di cui gli immigrati grandi e piccoli, decisi a vivere da noi per qualche tempo o per sempre, dovrebbero apprezzare.
Ma che c’entrano gli insegnanti con le ubbie multiculturaliste, con cui alcuni - direi troppi - politici vogliono sostituire le ideologie giustamente finite tra i rifiuti della storia? È difficile credere che i bravi insegnanti e le brave maestre anti-presepe siano tutti comunisti, anche se molti di loro sono influenzati dalla correttezza politica che vuol cancellare tutto ciò che è occidentale. C’è piuttosto da temere che i loro atteggiamenti siano più preoccupanti di quel che si creda. Dietro il loro rifiuto non c’è l’ideologia, ma più semplicemente l’ignoranza dell’identità nazionale. Non si può tenere ad una identità se non la si conosce e non la si possiede e, poiché se ne ignora il valore, si è pronti a cederla tranquillamente. In questo senso la rinuncia alle tradizioni è più grave della lotta contro le tradizioni. Il nemico dell’identità può essere combattuto, colui che la ignora è sfuggente ed inafferrabile. C’è la stessa differenza esistente tra coloro che hanno intenzioni non belle e coloro che agiscono per pura ignoranza: i primi possono stancarsi, distrarsi e magari cambiare opinione, i secondi sono sempre attivi. Il danno che provocano è incommensurabilmente superiore perché lo fanno senza malizia.

Per loro vale l’invocazione del Golgota: «Signore, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

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