Cultura e Spettacoli

E il prezioso, nuovo stile dell’abitare

Al «Victoria and Albert Museum» di Londra una mostra di grandi opere e di oggetti quotidiani ripercorre la rappresentazione della casa in Italia tra ’400 e ’500

Poteva ben indurre a qualche perplessità e dubbio il tema, chissà, forse pretestuoso, della grande mostra «At Home in Renaissance Italy», cioè la casa e la vita nella casa del nostro Rinascimento, allestita al Victoria and Albert Museum di Londra (fino al 7 gennaio).
Innanzitutto, a quale Rinascimento intendevano rifarsi le due illustri curatrici, Marta Ajmar-Wollheim e Flora Dennis? Poiché il Rinascimento è di complessa e discussa determinazione cronologica, doveva intendersi l’intero arco culturale e artistico a esso ascrivibile, dalle fondamenta umanistiche di Giotto pittore e architetto al manierismo del Veronese e al classicismo di Palladio, finanche ad Annibale Carracci, cioè dal Petrarca al Tasso? Oppure andava riferito al Rinascimento stretto, quello posto, per fare delle date, tra il 1420 e la metà del ’500 e, per fare dei nomi, da Brunelleschi e Leon Battista Alberti a Vasari, passando per Lorenzo de’ Medici, Raffaello, Michelangelo, Mantegna, Machiavelli, Ariosto, Tiziano?
Ma, se era lecito porsi simili quesiti su come si fosse potuta affrontare la rappresentazione della casa e della domesticità relativamente a un periodo di un secolo e mezzo in cui si verificarono tante evoluzioni (delle tecniche, del gusto, del costume, della storia materiale e sociale), subito l’intento si chiarisce con le due opere che accolgono il visitatore: da un lato, il ritratto di signora noto come Smeralda Bandinelli di Sandro Botticelli, dove Smeralda appare di tre quarti alla finestra, donna di casa in abiti d’ogni giorno, che guarda fuori tranquilla e dignitosa; dall’altro, l’opulento ritratto di Livia Porto Thiene, di Paolo Veronese, a grande figura intera, con la figlia Porzia che vincendo la timidezza sbuca da dietro l’ampia sopravveste della madre, foderata di pelliccia.
Al cuore della mostra, quello che costituisce il suo coerente filo conduttore, c’è infatti l’idea che, nella casa, possiamo trovare depositata, senza imbrigliature di filoni estetici e di tempi, la dimensione fondamentale del Rinascimento: la maturazione di tutte le aspirazioni e tendenze della cultura umanistica, la «conquista della realtà» (per dirla con Gombrich), un più raffinato gusto artistico all’insegna del classicismo, una coscienza nuova del potere creativo dell’uomo, una filosofia più libera e mondana.
«Fai che la casa sia apparecchiata, come t’ho scritto, delle spalliere del Bassan in sala e da basso, e di razzi nella camera» scriveva il 22 febbraio 1561 alla figlia Giulia lo scrittore padovano Sperone Speroni, in trasferta a Roma; e il 30 settembre, per avvisarla che sarebbe arrivato il nipote del suo amico Annibal Caro, le scrisse di nuovo: «e questo giovane ha nome M. Ottavio. Falli fare onore, che bene il merita per se, e per suo zio: e se in casa vostra può alloggiare, alloggialo, e domesticamente accarezzalo». L’accoglienza, la socialità, l’ostentazione del proprio gusto, della ricchezza e del potere acquisiti, sono alla base del nuovo senso della casa sviluppatosi nel Rinascimento.
«La casa europea moderna» afferma Flora Dennis, «è nata allora in Italia, e si può dire che sia cambiata pochissimo». Soprattutto dal punto di vista concettuale, oseremmo aggiungere, poiché ogni parentela e similitudine nostre con la «sala», la «camera», lo «studio» del «piano nobile» della casa rinascimentale si fa astratta a fronte degli esempi superlativi che qui vengono inevitabilmente presentati, come il modello in legno, con l’arrangiamento interno degli spazi, di Giuliano da Sangallo per Palazzo Strozzi; oppure i dodici tondi di Luca della Robbia che costellano il soffitto a volta dello studiolo di Piero de’ Medici, sorta di proto-museo e di Kunstkammer dove si raccolgono le mirabilia che devono impressionare gli ospiti importanti; oppure ancora l’acquaio di Palazzo Girolami a Firenze, o le tappezzerie e sedie pieghevoli in casa dei Contarini a Venezia, e il ritratto di gentiluomo di Paolo Veronese, probabilmente della famiglia Soranzo che era appeso a una parete della loro casa, come erano «domestici» gli Jacopo Bellini, i Filippo Lippi e le opere che vediamo ora nei musei di tutto il mondo, come la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, che solo da poco s’è scoperto aver adornato la parete della camera a pian terreno di Lorenzo de’ Medici.
A stemperare, per così dire, la magnificenza straniante e vertiginosa delle opere più altisonanti della mostra perché non induca a dimenticare il tema, e a dare alla mostra anche un senso più profondo e sottile, è proprio la commistione di queste opere con quelle «minori»: la culla dondolante in noce lavoratissimo, il girello per il bambino dalle gambe incerte, i preziosi cassettoni intarsiati, i gioielli, le caraffe, le porcellane, i vetri filigranati, i camini più o meno imponenti, i letti a colonne, il «lettuccio» (per il giorno) e il «cappellinaio», ogni sorta di vasellame, di utensileria cuciniera o conviviale, compresa la nascente forchetta (il piron veneto mutuato dal pirona turco), e un vasto numero di ceramiche finissime, di bicchieri, piatti, merletti, tovaglie, tappeti, capi di vestiario, scarpe, camicie maschili e femminili, strumenti musicali d’ogni tipo, liuti, spinette, giochi.
Tutto ciò, insieme ai registri della contabilità domestica e agli inventari, e alle planimetrie e suppellettili delle case anche più modeste, riesce a parlare di una domesticità sentita e consapevole, che a noi pare ben sintetizzata dal quadro di Sofonisba Anguissola ventenne (Cremona 1555), le Sorelle che giocano a scacchi.

Il quadro ora risiede normalmente al museo di Poznan, ma allora era appeso alla parete di casa sua, e questo, di nuovo, ci riconduce alla discendenza della casa moderna dal Rinascimento, alla celebrazione della «realtà conquistata», a un moderno senso di unicità individuale, al sentimento di misteriosa preziosità della cerchia familiare, a dispetto degli eventi grandiosi, degli stupidi conflitti, che allora, come ora, dilaniavano il mondo.

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