Cultura e Spettacoli

Ecco i tipi "originali" che (re)inventano il mondo

Da Steve Jobs a Dean Kamen fino al duo di Google Page-Brin: Così l'uomo qualunque diventa pioniere dell'innovazione

Ecco i tipi "originali" che (re)inventano il mondo

Pare che gli anticonformisti del Nuovo Millennio non siano quelli che vogliono cambiare il mondo. Magari alla fine poi lo cambiano lo stesso, ma non è questo il loro obiettivo. Li riconoscete così: non scendono in strada a fare la rivoluzione, ma spesso fissano il vuoto in solitaria e hanno idee geniali. Si ripetono come un mantra: «Se fosse una buona idea, qualcuno ci avrebbe già pensato».

E magari per un po' si piangono anche addosso: vedi alla voce «Joy» e al film omonimo di David Russell, in cui Jennifer Lawrence dà volto all'italoamericana Joy Mangano e ai suoi oltre cento brevetti, tra cui il Mocio. La quale però ha dovuto farsi strada fra cicli depressivi e tentate truffe prima di vedere la luce del successo. Ma questo accadeva quasi cinquant'anni fa, era ancora il tempo dell'anticonformista di primo livello.L'anticonformista 2.0 ha in sé qualcosa di donchisciottesco e fantascientifico insieme: è un distruttore creativo che cova tutta la forza centripeta nella mente. Ma poi, a differenza del creativo, va oltre i sogni e prende iniziative per trasformare le idee in realtà. Quando diventa multimilionario in un lampo, sembra sempre impreparato all'evento, ma in realtà ha lavorato giorno e notte. Non ha grandi competenze accademiche, tecnologiche o di business, ma un fiuto primordiale e imbattibile lo sostiene.

Pensa che quel che vorrebbe realizzare sia una follia, che non ce la farà mai, ma nel frattempo tiene duro e rifiuta scientemente tutte le offerte di lavoro o impegno di tempo in generale che sì, gli cambierebbero la vita, ma lo porterebbero lontano dalle sue utopie e dai suoi progetti. All'apparenza, un suicida. Uno spostato. Ma di certo non un idealista. Perché l'anticonformista di nuova generazione, alla fine, ce la fa.Originals di Adam Grant (Viking, pagg. 336, euro 23,50), appena uscito negli Stati Uniti e alla prima settimana balzato in cima alla classifica del New York Times, sta facendo impazzire l'ambiente culturale americano perché racconta proprio questo processo: a partire dal sottotitolo, ovvero «Come gli anticonformisti cambiano il mondo», spiega come oggi il fatto stesso di andare controcorrente possa fare dell'uomo qualunque un pioniere dell'innovazione. Lo stesso Grant se la batte bene con il successo creativo.

Dopo essere diventato a 29 anni il più giovane docente di ruolo della Wharton School (la prima business school al mondo in una grande Università come quella della Pennsylvania, è una delle otto Ivy League ed è stata tra l'altro la scuola di Corrado Passera e Ignazio Visco) Grant ha sostenitori come Richard Branson, Arianna Huffington, Seth Godin, Malcolm Gladwell. Ed è letteralmente adorato dai media: il NYT lo chiama «il mago» delle organizzazioni, Forbes lo iscrive nella linea dei grandi accademici che hanno cambiato il modo di pensare delle masse, come è accaduto a Nassim Taleb con il «cigno nero» o a Daniel Kahneman per aver sposato psicologia cognitiva ed economia. E in effetti la ristrutturazione del concetto di anticonformismo di Grant potrebbe dare una spinta dirompente alle scienze sociali: non sappiamo se questo libro sia epocale, ma di certo leggerlo rifocalizza per sempre il nostro sguardo sul lampo di genio.Come al solito, quello che cambia tutto è l'epoca in cui si vive. Gli «originali» non avrebbero potuto esistere se non fosse cominciata quella che gli americani chiamano «Age of Disruption». La traduzione è complessa, nella nostra lingua.

Potremmo parlare di «Età dirompente», visto che è originata dalle «innovazioni dirompenti», ovvero tutte quelle «idee», come i social network, le nanotecnologie, la sharing economy diffusa in digitale, che alterano in modo irrevocabile le filiere produttive, i cicli di vita dei prodotti, i mercati, i comportamenti delle persone e di conseguenza richiedono un ripensamento totale, da parte delle aziende, delle comunità e delle organizzazioni in generale e, ovviamente, della politica, di competenze e strategie di innovazione. Ecco, in un'epoca così, come la nostra, gli anticonformisti 2.0 alla Grant si trovano come un topo nel formaggio. Perché le loro idee all'apparenza strampalate, in altre epoche avrebbero tutt'al più dato luogo a un catalogo di bizzarrie profetiche come il Codice leonardesco.

Ma i geni di oggi non sono diversi dagli altri. Hanno solo un maggior numero di idee e quindi prima o poi una va in buca.Ecco perché il libro di Grant si concentra su una miriade di esempi, da Steve Jobs ai fondatori di Warby Parker, da Steve Wozniak a Larry Page e Sergej Brin, dal businessman Ray Dalio all'inventore Dean Kamen. E traccia una linea immaginaria tra lo sviluppo «imprenditoriale» della loro originalità, reso possibile dalla nostra età dirompente, e quel che accadde a Galileo o a Leonardo, appunto. Imprenditore, per Grant, significa davvero «(sop)portatore di rischi» e nulla più. Così gli originali di Grant sono imprenditori di se stessi: lasciano il lavoro con maggior frequenza, generano idee senza affannarsi a selezionarle perché «solo la quantità può alla fine portare alla qualità»; sono pionieri, non colonizzatori: quindi si permettono di temporeggiare, perché procrastinare lede la produttività ma è un balsamo per lo sviluppo delle idee. Gli originali fanno del rigetto dell'esistente il loro processo cognitivo: per creare un nuovo motore di ricerca come Firefox o Chrome, bisogna ragionare come se le risorse disponibili fossero insufficienti, come se per certo ci fosse un'opzione migliore.

Infine, peculiarità che farà storcere il naso a molti ma che Grant ritiene imprescindibile, gli originali sanno creare gruppi e coalizioni e usare le alleanze. Con il disinvolto pragmatismo che contraddistingue il pensiero americano, Grant non ha difficoltà a descrivere il genio di chi, per tener fede all'idea, sa creare cavalli di Troia, scoraggiare il consenso acritico a tutti i costi e gestire l'inevitabile caos che ne deriva al servizio della creatività.Come spiega la prefatrice di lusso che Grant si è scelto, una delle donne più potenti del mondo, direttore operativo di Facebook e consigliere di amministrazione di Starbucks e Disney, cioè Sheryl Sandberg, si tratta appunto di «ribelli con una causa», soggetti a un presente con il più alto tasso di complessità mai registrato nella storia umana.

Ecco perché falliscono ma non mollano: Steve Jobs prese un abbaglio con il Segway, lo scooter individuale, ma rimase Steve Jobs. Ecco perché usano la loro tracotanza innovativa come schermo per proteggere le loro idee dall'attacco della mediocrità, l'eterna nemica dell'anticonformismo. Grant la trasforma in un atteggiamento psicosociale e la chiama «conservatorismo della via di mezzo»: più diventiamo familiari con un ambiente e più si abbassa il nostro tasso di dirompenza. Perché originali non si nasce contro tutto e tutti: deve esserci un ambiente favorevole all'esplosione. «Possiamo solo immaginare quanti Wozniak, Michelangelo e Martin Luther King avrebbero potuto esistere, ma non hanno avuto una catapulta che li facesse arrivare sotto i riflettori».E l'arte? Grant è un fan del talento artistico. Ma attenzione: non perché vada sviluppato sempre e comunque, anzi. Il talento artistico serve a mettere il turbo all'idea, è la capacità di visione che fa la differenza.

Per il resto, va benissimo rimanere anche musicisti con gli amici o pittori della domenica.

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