Ecco perché Al Jazeera soffia sulla rivolta
6 Marzo 2011 - 10:07False fosse comuni, bombardamenti fantasma. E l'emiro proprietario della televisione è vicino all'Iran
Tra le tante cose false che Gheddafi racconta nei suoi discorsi, ce n’è una sicuramente vera: le televisioni straniere, e in particolare l’emittente satellitare panaraba Al Jazeera, svolgono un ruolo fondamentale nella rivolta libica, diffondendo notizie che alimentano la rabbia degli insorti e influenzano anche le decisioni politiche degli altri governi. Dal momento che la TV del Qatar ha avuto una parte analoga anche in Tunisia e soprattutto in Egitto, viene da chiedersi se i suoi giornalisti hanno semplicemente esagerato nella loro ricerca dello scoop, o se avevano davvero l’intenzione di soffiare sul fuoco. E in questo secondo caso perché, visto che il loro datore di lavoro, l’emiro Hamad bin Khalifa, sovrano assoluto di uno dei Paesi produttori di petrolio del Golfo, potrebbe essere a sua volta investito dai venti rivoluzionari?
Al Jazeera rappresenta una delle novità più importanti del mondo dei media, fornendo per la prima volta informazioni e servizi non censurati ai 300 milioni di arabi sparsi tra Atlantico e Oceano indiano. Da quando ha l’edizione inglese è diventata una fonte rilevante di notizie anche per noi occidentali, soprattutto da Africa ed Asia. Grazie ai petrodollari dell’emiro, dispone oggi della più vasta rete di corrispondenti, più della CNN o della BBC. Aveva già dato spesso fastidio ai regimi autocratici e in particolar modo alla monarchia saudita, ma mai era stata protagonista degli eventi come dall’inizio della rivolta araba. Le sue «dirette» dal Boulevard Burghiba a Tunisi e da piazza Tahir al Cairo, accompagnate da un flusso ininterrotto di flash e interviste di sostegno, hanno fornito a tunisini ed egiziani informazioni in tempo reale sull’andamento della rivolta, alimentandola e incoraggiandola.
In Libia, che è stata per molti giorni terreno proibito per i media occidentali, Al Jazeera si è superata, ma è anche incorsa in un numero impressionante di «infortuni»: ha dato credito alla voce di una fuga di Gheddafi in Venezuela, ha attribuito a un inesistente membro libico della Corte penale internazionale la valutazione (subito ripresa da tutti) di diecimila morti e cinquantamila feriti, ha scambiato i loculi di un normale cimitero per fosse comuni, ha riferito della conquista da parte dei ribelli della base aerea di Mitiga tuttora saldamente nelle mani di Gheddafi e si è - secondo molti testimoni - inventata quel bombardamento della folla da parte di Mig ed elicotteri che è all’origine della decisione occidentale di chiedere le dimissioni del colonnello e appoggiare i rivoltosi. Anche se successivamente smentite, queste notizie hanno infiammato i cittadini e incoraggiato le defezioni di molti militari e funzionari.
Dal momento che è improbabile che l’emiro abbia perso il controllo della sua creatura, o non si renda conto degli effetti che produce, il mondo si chiede che cosa ci sia dietro. Finora egli non è stato contestato dal suo milione di sudditi, e in una classifica compilata da Merrill Lynch il Qatar è stato definito il più stabile dei quindici Paesi arabi. Dal 2004 ha una Costituzione e un Consiglio elettivo, è al 40° posto nell’indice di sviluppo umano e le risorse di petrolio e di metano gli garantiscono un elevato reddito pro-capite. C'è tuttavia un particolare inquietante: di tutte le monarchie del Golfo, è quella considerata più vicina all’Iran.
Al momento nessuno, neppure i servizi americani, riescono a capire quali siano le reali intenzioni di Hamad bin Khalifa.
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