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Ecco la villa di Sanremo dove morì l'ultimo Califfo

Siamo entrati nelle magioni dove l'ex sultano trascorse gli Anni Venti con la sua bizzarra corte. Scomodo per tutti, non lasciò vivo la Riviera

Ecco la villa di Sanremo dove morì l'ultimo Califfo

Sanremo - Tutti la chiamano Villa Nobel. E in effetti questa aggraziata costruzione, indecisa tra il liberty e il neogotico, al genio della dinamite è appartenuta. Adagiata in quella che, all'epoca, era la periferia di Sanremo, la Villa era uno dei suoi luoghi del cuore. La chiamava «il mio nido», pensava che l'aria del golfo gli fosse salubre. Si era fatto costruire, quando ancora il giardino digradava verso il mare, uno speciale pontile per fare esperimenti con gli esplosivi. Eppure a conti fatti, per quanto grande sia stato, lo scienziato svedese non è stato l'ospite più importante di questa costruzione, almeno dal punto di vista istituzionale.

Nell'anno 1923 dell'era cristiana, sotto gli eleganti affreschi della veranda passeggiava Mehmet Vahideddin, 36° e ultimo sultano turco, centesimo califfo dell'islam e ultimo ad avere un riconoscimento (quasi) totale da parte dei sunniti. Quando arrivò a Sanremo quello che allora i giornali italianizzarono in Maometto VI, era già un uomo segnato dall'esilio e dalle angosce per la fine dell'impero. Magro, spalle piccole, naso adunco, Mehmet Vahideddin non aveva mai avuto una naturale grazia nel portare l'uniforme o quel coraggio che sarebbe servito ad affrontare la rivoluzione capeggiata da Mustafa Kemal. Succeduto al fratello si era ritrovato ben presto schiacciato dagli eventi e, aiutato dagli inglesi a compiere una rocambolesca fuga in ambulanza, aveva iniziato a peregrinare. L'ospitalità della dinastia hascemita alla Mecca gli era risultata asfissiante. Degli inglesi si fidava poco. Voleva andare in Svizzera. Finì per fermarsi in Italia. In quella Sanremo che era uno dei luoghi di mare più rinomati della Belle Époque e che era un vero e proprio covo di esuli, tanto che da lì a poco a far compagnia all'ex sultano sarebbe arrivato anche Mohammad Ali Qajar ex scià di Persia detronizzato dai costituzionalisti.

Ma tra tutti gli esuli (e i tisici) che andavano a intrattenersi al Kursaal (dove si giocava d'azzardo ben prima che diventasse legale, nel 1927), oppure passeggiavano sul lungomare, la piccola corte ottomana spiccava per un sacco di motivi. Quello che irretiva i sanremesi erano le mogli del sultano, soprattutto la più giovane, Fatma Nimet, spesso chiamata la «bella circassa». Oppure qualche membro della famiglia reale (il bisnipote del sultano Bahaeddin) dalla guida «spigliata» che finiva con l'auto dentro la vetrina di un negozio di tessuti in via Vittorio. Ben altre erano le preoccupazioni delle autorità. La questione di che fine avrebbero fatto i territori dell'ex Impero ottomano era tutt'altro che risolta. La Siria sotto protettorato francese era dilaniata da una infernale guerra civile. Gli inglesi volevano che il loro protettorato irakeno mettesse le mani sui pozzi di Mosul, Atatürk non aveva alcuna intenzione di mollarli. Mussolini rivendicava il suo ruolo coloniale, i turchi temevano che venisse a sfogare le sue mire a casa loro. In tutto questo il melanconico Mehmet Vahideddin aveva molteplici ruoli. Per i turchi fedeli a Kemal era un traditore. Per gli altri membri della casa reale, come il cugino Abdülmecid Efendi (erano in lite per il titolo di Califfo), un rappresentante dei loro diritti ma anche un ingombrante ostacolo. Per le potenze, Italia compresa, uno strumento di pressione politica da utilizzare contro Ankara (la nuova capitale turca).

Abbastanza per far finire Sanremo al centro di una sciarada internazionale. Un sacco di esuli turchi si presentavano alla porta di Villa Nobel. Una sorella del sultano si sistemò a Villa Rothenburg, gli amici del sultano riempivano le stanze dell'Hotel Victoria et Rome, lamentandosi moltissimo dello scampanio che veniva dal convento delle carmelitane. Chiedevano aiuto e denaro. Di chi fidarsi davvero? Quante erano spie dei repubblicani? E poi il denaro. La piccola corte non aveva certo i fasti di un tempo eppure le casse si svuotavano in fretta. Iniziò una lotta per i favori del sovrano.

Non ci volle molto perché ci scappasse anche il morto. Il 14 marzo 1924 Resad Pascià, il medico del sultano fu trovato morto con un proiettile calibro 6,35 piantato nella testa. Stava disteso nella sala da pranzo di Villa Nobel sporcando il bel tappeto, rantolava vicino alla grande vetrata vista mare. Ci mise quasi un giorno a morire. Suicidio? Omicidio? Era una spia? Gli trovarono delle lettere sul corpo, dei soldi nascosti nei calzini. E mentre gli inquirenti italiani indagavano - tra le bocche cucite degli altri turchi, le richieste pressanti di Ankara e la necessità di affidarsi a improbabili traduttori ed esperti di calligrafia - l'ex sultano si sentiva sempre più stanco e circondato. Sì spostò in un'altra vicina ma più imponente magione sanremasca: Villa Magnolie (che era stata la residenza del generale Dufour e dei duchi d'Aosta). Usciva sempre meno e camminava meditabondo per il grande giardino. Tra le altre sue pene anche un grande congresso al Cairo per discutere chi dovesse essere il nuovo califfo dell'islam e che caratteristiche dovesse avere. Da Sanremo partì un proclama di Mehmet il 9 maggio 1926: «Io continuo ad avere nella mia persona tutti gli attributi relativi alla mia qualità di Califfo... vorrei preservare da una grandissima responsabilità morale coloro che ritengono che il califfato sia attualmente senza titolare e, quindi, provocano nel mondo islamico una scissione». Non gli diedero molta retta. Intanto altre questioni internazionali si sistemavano, come la tensione per i pozzi di Mosul, rafforzando le posizioni di Atatürk. E mentre nubi politiche sempre più nere si addensavano sul futuro, meno metaforici barometri segnavano tempesta anche su Sanremo. Una pioggia insistente si abbatteva sulla cittadina e su Villa Magnolie, raffiche di vento spazzavano le tegole dai tetti. In quel clima da fine del mondo Maometto VI, il 15 maggio, fece lo sbaglio di mangiare, controvoglia, una composta di mele. La composta può essere indigesta ed è uno di quei classici cibi in cui si può nascondere di tutto. Poco dopo averla mangiata il sultano si sentì improvvisamente male e morì. Partì la ridda di accuse e contro accuse. Partì subito anche la ridda di comunicazioni ufficiali e il 17 maggio 1926 venne fatta l'autopsia. Nessuno volle insistere troppo con analisi tossicologiche, ci si accontentò del fatto che le coronarie fossero ingrossate. Le autorità italiane erano ancora impestate con la morte di Resad Pascià, figurarsi se volevano trovarsi al centro di un intrigo con Sultano assassinato. Bastavano i litigi tra congiunti su chi doveva pagare le spese per il funerale. Alla fine il feretro partì verso Damasco, nella stiva di un vapore postale.

Oggi a Villa Nobel c'è un museo in cui si parla del grande scienziato. Villa Magnolie è una scuola e il suo interno è stato tutto ristrutturato e nulla quasi resta dei tempi del sultano. Su entrambe gravano alti condomini anni '70 che poco hanno a che fare con la Sanremo che fu. Se il fantasma del sultano e del suo medico di corte si aggirano lì, saranno spaesati, tra una bacheca sulla dinamite e una lezione di algebra. Però ancora oggi a Villa Nobel pare che di turchi ne arrivino, dice la garbata signora della biglietteria. Forse si chiedono se la loro storia avrebbe potuto essere diversa se da qui, da Sanremo, un giorno il Sultano-Califfo fosse tornato.

Ora sono altri i «Califfi» che bussano alla loro porta.

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