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Erbe, insetti, radici. Il cibo degli indios dell'Amazzonia torna sulla tavola

Uno chef famoso e un Istituto di ricerca hanno riscoperto le pietanze usate dagli indigeni prima dell'era coloniale Oggi sono nei menu di molti ristoranti

Erbe, insetti, radici. Il cibo degli indios dell'Amazzonia torna sulla tavola

(San Paolo) Prima dei lussuosi banchetti nei palazzi dei colonizzatori portoghesi serviti da schiavi di Guinea e Angola, il Brasile, pochi lo sanno, ha conosciuto altri tipi di fasti culinari. Meno occidentali e molto, molto locali. Già perché anche se oggi il presidente Bolsonaro degli indios non ha una grande considerazione, visto che sta riducendo loro molti benefici conquistati in anni di lotte sociali, quegli stessi indios furono protagonisti di un rinascimento enogastronomico senza precedenti a base di ingredienti che più esotici non si può. Dal «turus» un verme che vive all'interno del legno del mango al «jambu», alias Spilanthes oleracea, un'erba tipica dell'Amazzonia nota per causare una sensazione elettrica nella lingua quando masticata.

Sapori antichi e preziosi che sono stati riscoperti con uno spirito più da esploratore che da chef da Alex Atala, il cuoco più famoso del Brasile che con il suo D.O.M. più volte premiato come miglior ristorante dell'America latina, sta sperimentando il nuovo menu grazie alla sua ricerca ventennale in Amazzonia.

Proprio Atala sei anni fa ha creato l'Instituto socio-ambientale Atá, un centro di ricerca con spedizioni itineranti nelle regioni più estreme e isolate del Brasile alla scoperta degli antichi segreti delle piante, degli insetti, dei cereali utilizzati dagli indios pre-colonizzazione e ancora oggi. Nel gruppo di ricerca figurano anche antropologi come Beto Ricardo, coordinatore del programma Rio Negro, che preserva 71 milioni di ettari del bacino del Rio Negro, e ingegneri specializzati in alimentazione con un forte impegno socio ambientale con le comunità tradizionali come Georges Schnyder. E cosí dal mix culturale del gruppo sono stati riscoperti e oggi vengono tranquillamente riproposti a tavola nella metropoli di San Paolo ingredienti come il tucupi, un liquido estratto dalla cosiddetta «mandioca furiosa», un tipo di mandioca (alimento questo davvero tipico del Brasile pre e post coloniale) che se non viene bollito per almeno 20 minuti può rivelarsi addirittura letale perché contiene piccole dosi di acido cianidrico, ovvero cianuro. La stessa mandioca furiosa che gli indios usavano per avvelenare lance e frecce quando si combattevano tra di loro o cacciavano le fiere nella foresta. Insomma, dall'Amazzonia al Pantanal passando per il quasi desertico Maranhao nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si ricicla. E così se oggi l'esotica radice di Priprioca viene utilizzata dall'industria cosmetica si è però scoperto che per le popolazioni indigene era un'essenza addirittura commestibile. Ma la scoperta più curiosa di anni di ricerche dell'Istituto di Atala è che il primo animale domestico allevato dagli indios fu l'anatra.

Insomma tra un piatto e l'altro, serviti tutti in materiali supernaturali come il bambù e il legno, si compie un viaggio incredibile a ritroso nella storia del Brasile.

Alex Atala è stato anche il primo chef al mondo a studiare e scoprire le potenzialità nutritive e gastronomiche della formica amazzonica. È lui stesso a dichiararlo con orgoglio nel suo Manifesto che introduce alle attività dell'Istituto da lui fondato. «In Amazzonia ho scoperto una varietà speciale di formica saúva' che ha un tipico sapore di capim santo (una prodigiosa pianta medicinale tipica dei tropici, ndr). Nei miei giri per il mondo ho fatto conoscere queste formiche, influenzando così altri chef che fecero sì che altri importanti ristoranti sparsi per il mondo potessero comprendere e scoprire la possibilità di servire insetti. Sono molto felice di questa piccola vittoria». E oltre che deliziose a vedersi le formiche amazzoniche sono anche supernutrienti. Pare che contengano una percentuale di proteine superiori a quelle di una bistecca.

Insomma, il Brasile riscopre se stesso in cucina, in un momento della sua storia in cui è davvero difficile preservare le sue radici. E così non stupisce che il retrogusto di questi ingredienti rievochi i luoghi epici del mondo indigeno brasiliano come il famoso Pico da Neblina, il punto più alto di tutto il paese, nel bacino del Rio Negro, considerato luogo sacro degli Yanomani. Proprio da questa remota regione del Brasile, l'équipe di Alex Atala insieme all'Organizzazione Indigena del Bacino di Içana ha riscoperto il pepe Baniwa Jiquitaia, un pepe particolare con dentro sale prodotto esclusivamente dalle donne della comunità indigena Baniwa. Una produzione che si riveste di un importante impegno sociale visto che aiuta le donne locali a riconoscere il loro potere economico e culturale.

E se ai tempi del Brasile pre-coloniale il disboscamento era ancora un incubo lontano oggi si è trasformato nella grande piaga del paese con un'Amazzonia che ha perso nell'ultimo anno il 20% delle sue aree verdi. Eppure l'enogastronomia verde-oro alla ricerca delle proprie radici riesce a compiere dei piccoli miracoli attraverso carni sostenibili che vengono prodotte facendo diminuire di oltre il 50% le aree di pascolo. E in questo sguardo profondo verso il passato non manca però anche uno slancio importante verso il futuro ovvero lo studio di biomi al momento sconosciuti nelle tavole brasiliane come la mela di cocco, una spugna che si forma nel cocco al momento della sua fioritura. E non manca l'olio.

Se nel Mediterraneo non possiamo fare a meno di quello d'oliva, il Brasile sta portando avanti l'oleodiversità: quello di ananas, del pequi e della Jaca, frutti esotici che a distanza di secoli emettono ancora il loro misterioso e affascinante messaggio.

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