Un errore il processo dei vincitori ai vinti

Suscita stupore (e i quotidiani ne danno notizia non sapendo bene cosa dire) il fatto che l’ex segretario alla difesa Usa Ramsey Clark, dopo essersi a suo tempo schierato a sostegno delle tesi di Slobodan Milosevic nel procedimento che lo riguarda, sia entrato a far parte del collegio di avvocati patrocinanti la causa di Saddam Hussein. Ora, per il vero e per la Storia (con la esse maiuscola), importanti giuristi e uomini politici americani si sono frequentemente pronunciati contro ogni tipo di processo «fatto ai vinti dai vincitori». Al riguardo, riporto le espressioni (che faccio mie) usate dal senatore Usa Robert Taft (figlio del presidente William Taft e più volte invano, tra il 1940 e il 1952, in corsa tra i repubblicani per ottenere la nomination e poter quindi lottare per la Casa Bianca) il 6 ottobre 1946, in Ohio, parlando dei processi di Norimberga, così come riferite nel suo Profili del coraggio da John Fitzgerald Kennedy, che, scrivendone, lascia chiaramente intendere di avere la medesima opinione: «Il processo fatto ai vinti dai vincitori non può essere imparziale per quanto lo si voglia ammantare delle forme di giustizia. Io dubito che l’avere impiccato, benché fossero spregevoli, coloro i quali furono i capi del popolo tedesco scoraggerà mai chi voglia fare una guerra aggressiva. Intorno a tutto questo giudizio si libra lo spirito della vendetta e la vendetta raramente è giustizia. In questi processi lo scopo è evidentemente politico/governativo... Vestendo la politica con le forme della procedura legale possiamo screditare il concetto di giustizia per molti anni a venire!».


Prendiamo esempio da chi la sapeva ben più lunga e ben più giusta di Bush, caro MdPR. Prendiamo esempio da Lenin. Mica sottopose a processo lo zar (e i suoi cari), mica mise su una Corte, magari intermazionale, di giustizia.

Una bella raffica e via. Non sta bene prendere ad esempio la Rivoluzione d’Ottobre? Meglio quella francese - una bella ghigliottina e via - portatrice di libertà, uguaglianza e fratellanza?
Paolo Granzotto

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