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I re del rating sull'attenti davanti a Obama

Si sente un po' puzza di captatio benevolentiae nella decisione di Standard&Poor's di tagliare l'outlook della Russia a «negativo» e nella duplice mossa con cui la consorella Fitch ha declassato da un lato le prospettive di Mosca e dall'altro ha confermato agli Usa la tripla A, il bollino blu dell'eccellenza finanziaria

Si sente un po' puzza di captatio benevolentiae nella decisione di Standard&Poor's di tagliare l'outlook della Russia a «negativo» e nella duplice mossa con cui la consorella Fitch ha declassato da un lato le prospettive di Mosca e dall'altro ha confermato agli Usa la tripla A, il bollino blu dell'eccellenza finanziaria.

Colpisce il tempismo dell'intervento, un po' meno la scelta di campo tra Obama e Putin. Sebbene l'entrata a gamba tesa sia un marchio di fabbrica di arbitri mai troppo imparziali, era forse lecito attendersi una maggiore prudenza. A consigliarla, il clima da guerra fredda che, per le molteplici variabili in gioco, non esclude nessuno scenario futuro. Motivo sufficiente per evitare, come invece non ha fatto Fitch, di stabilire fin d'ora che le sanzioni di Washington e Bruxelles avranno un impatto serio sull'economia russa. Nessuno può negare i danni: in appena un mese, la Borsa di Mosca ha perso oltre il 10%; Bank Rossiya, una delle banche finite nelle «liste di proscrizione» di Usa e Ue, ha ammesso che Visa e MasterCard hanno già chiuso i rubinetti, rendendo inservibili le carte di credito di migliaia di correntisti.

Sono solo due esempio di una situazione, oggettivamente, poco rassicurante. Ma c'era davvero tutta questa fretta di abbassare l'outlook russo, anticamera di una vera e propria bocciatura del rating sovrano? Qualcuno «ha ordinato» a Fitch di muoversi, ha detto senza mezzi termini il portavoce di Putin, Dmitry Peskov. Prove non ce ne sono. Di sicuro, però, le agenzie di rating devono recuperare una sorta di verginità nei confronti dell'America. L'anno scorso la Casa Bianca ha fatto causa a S&P, con una richiesta danni di 5 miliardi, perché ritenuta responsabile della crisi dei mutui subprime. Ben più pesante è stata la mano della nostra Corte dei conti, che pretende 134 miliardi da S&P per aver declassato l'Italia nel 2011. Ma nel mirino dell'amministrazione Obama (e non solo) è l'intero sistema di valutazione del debito, giudicato poco affidabile e ancor meno credibile.

I casi del default argentino non previsto, delle triple A accordate a gruppi poi falliti come Enron, Parmalat, Lehman Brothers, sono ancora lì a ricordarcelo.

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