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Quei negoziati di pace in cui nessuno crede più

Si celebreranno quasi negli stessi giorni i processi ai due presidenti deposti. Ancora scontri al Cairo: un morto

Quei negoziati di pace in cui nessuno crede più

Il tempo del giubilo è lontano. Le trattative sono vecchie di vent'anni e, in parallelo, lo è stata la guerra. Peccato, qui sono andate sempre a braccetto, e ormai nessuno è più in grado di dimenticarlo, tantomeno oggi, all'apertura dei colloqui che gli americani coccolano come un neonato. Nemmeno si sa dove si svolgono, tanto poca è la sicurezza dell'evento. Nessuno può obliterare il ricordo di tante occasioni pleonastiche. Come a Madrid (1991) dove la squadra palestinese ogni notte prendeva l'aereo per Tunisi per rendere omaggio al suo insonne capo, Arafat, che gli insegnava a dire no. Poi Oslo (1993), poi Wye Plantation (1998) Camp David (2000). Questi colloqui sono soprattutto americani e chissà se almeno Kerry ci crede. Abu Mazen ne ha bisogno come scudo contro Hamas e gli altri estremisti infuocati dell'area, Israele perchè pensa all'Iran e alle promesse di Obama.

Ma ci sono stati tempi diversi. Ai tempi di Rabin, improvvisamente i supermarket si riempirono di merci, i vestiti, il cibo, le canzoni, tutti cambiò, Mac Donald apri il suo primo branch dove si affollavano i giovani affamati di normalità; con Barak, ormai troppi attentati avevano bruciato la freschezza della speranza, ma quando sulla porta del cottage di Camp David Bill Clinton, Arafat e Barak davanti a una porta stretta cedevano ridendo il passo l'uno all'altro, ancora si sperava che dietro quella porta si compisse il miracolo. L'Intifada penetrò nei sogni degli israeliani e li cambiò per sempre, viziò di sangue i palestinesi. Sharon li vinse, ma poi fallì la grande mossa dello sgombero di Gaza (2005), che invece di pace portò missili. Ad Annapolis (2007), in un emiciclo di cemento Ehud Olmert giuocò la sua corrida offrendo ai palestinesi praticamente tutto, compresa Gerusalemme. Non andò.

Il debutto odierno del nuovo processo di pace deve accontentarsi di un misero 18 per cento degli israeliani che credono nella sua riuscita mentre l'80 la credono improbabile o molto improbabile. I palestinesi in massa protestano perchè Abu Mazen ha accettato i colloqui, ma stanotte 26 prigionieri palestinesi di cui molti si sono macchiati di delitti repellenti (per esempio l'omicidio a Gaza dell'avvocato filopalestinese Sean Feinberg cui vennero mozzate le orecchie, o la mattanza a colpi di scure di un sopravvissuto della Shoah, Isaac Rotemberg) sono stati trasportati a Ramallah, dove verrano trasportati al check point di Betunya per essere trasportati a Ramallah: li aspettano le famiglie e gli uomini di Fatah, il centro del potere palestinese.

Per Israele si tratta di una corona di spine per cui i genitori, le mogli e i figli degli uccisi non si stancano di protestare, la protesta è accorata e ragionevole. Non c'è nessuna garanzia che questo strazio porti alla pace. Per i palestinesi si preparano giorni di glorificazione di eroi che però sono, ai loro occhi, pochi e scelti fra i meno importanti per esercitare una pressione utilizzando gli altri gruppi da rilasciare. Tuttavia la festa sarà grande: su 26, 14 vanno a Gaza e il resto con Abu Mazen, che si prenderà il merito della liberazione di tutti. Hamas ha probito di festeggiare, Abu Mazen ne sarebbe troppo soddisfatto. La seconda causa di inquietudine è l'annuncio del governo israeliano che costruirà 1200 unità di abitazione oltre la Linea Verde, cosa che ha creato grande scompiglio internazionale e fra i palestinesi. La mossa è stata resa nota adesso per lo scontento che Netanyahu avverte nella coalizione, a causa della liberazione di prigionieri.

Lo sfondo strategico di questo debutto, in cui domina lo scetticismo, è più a sud, nel Sinai, da dove ieri sono stati sparati tre missili sulla cittadina di vacanze di Eilat. Si consolida il nuovo fronte di guerra che Al Qaeda con i suoi alleati di Hamas e vari gruppi salafiti ha aperto contro Israele e l'Egitto post Fratelli Musulmani.

È vero che questi due Paesi hanno già firmato da tempo un accordo di pace, ma forse in questi giorni il loro interesse commune antislamista è l'unico scenario di concordia che è dato scorgere all'orizzonte.

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