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Chavez è finito, la sua rivoluzione pure

Il governo mobilita la piazza per il presidente moribondo. Ma il bolivarismo ha fallito e non ha più leader forti

Chavez è finito, la sua rivoluzione pure

«Chi governa il Venezuela?». Da ieri sera, non si tratta più di una domanda retorica, ma di un gravissimo problema istituzionale. Per assumere la presidenza Hugo Chavez, rieletto per la quarta volta nell'ottobre scorso, avrebbe dovuto prestare giuramento davanti al Parlamento. Invece, dopo quattro operazioni per un cancro alla regione pelvica, giace in gravissime condizioni in un ospedale di Cuba, senza che di lui si abbiano notizie certe. Ad approfondire il mistero, a preannunciare la sua assenza dalla cerimonia non è stato lo stesso Chavez, ma il vice-presidente e successore designato Maduro, scatenando così la voce che il Caudillo sia già deceduto o perlomeno non più in grado di firmare una carta.
In base alla Costituzione, il mancato giuramento avrebbe dovuto farlo decadere e aprire la strada a nuove elezioni. Invece, mercoledì un Parlamento in cui il suo partito ha una maggioranza schiacciante ha deliberato - e la Corte suprema immediatamente ratificato - che la cerimonia possa essere rinviata sine die senza che Chavez perda i suoi diritti e il suo vecchio governo debba cessare dalle sue funzioni. L'opposizione contesta la legittimità di questa decisione, ma chi osa approfondire l'argomento, come la tv Globovision, viene denunciato per «incitamento all'odio e sovvertimento dell'ordine pubblico». Intanto, la tv di Stato ha lanciato per tutto il giorno insistenti appelli alla popolazione a marciare sul Palazzo del governo «per difendere Chavez, la rivoluzione bolivariana e il socialismo»; e il presidente della Camera Cabello ha organizzato, in presenza di due stretti alleati di Chavez, il boliviano Morales e l'uruguayano Moujica, un facsimile di giuramento all'insegna dello slogan favorito di Chavez «Io sono il popolo».
Nonostante questa messinscena - destinata a favorire, in qualche modo, la sopravvivenza del regime - si può dire che con il mancato giuramento di ieri l'era Chavez, che ha dominato il Venezuela per 14 anni e da almeno dieci era il punto di riferimento per tutte le sinistre latinoamericane, sia finita e che la geopolitica del nuovo continente sia destinata a subire importanti mutamenti. L'inventore della «rivoluzione bolivariana», che pur con le dovute differenze somigliava a un tentativo di resuscitare nell'America del Sud quel comunismo sconfitto in Russia, nell'Europa dell'Est e perfino in Cina, non lascia successori dotati né del suo carisma, né della sua disponibilità di petrodollari con cui comprava il favore dei piccoli Paesi; e senza di lui, anche il tentativo di costituire un solido asse antistatunitense, che doveva coinvolgere non solo Cuba, la Bolivia, il Nicaragua e l'Ecuador, ma anche Paesi lontani come l'Iran e la Corea del Nord non farà più molta strada. Non per nulla, già in queste ore si parla di un riavvicinamento tra Caracas e Washington. Se poi, dopo tutto, si tenessero nuove elezioni e l'opposizione dovesse vincerle, questo sviluppo sarebbe assicurato.
Bisogna dire che Chavez non se ne va con un bilancio del tutto negativo. Approfittando degli alti prezzi del greggio, di cui il Venezuela è il sesto produttore mondiale, ha migliorato le condizioni di milioni di poveri, costruendo case popolari, facendo arrivare acqua e luce dove mancavano e creando, anche con l'aiuto dei medici cubani che Castro gli mandava in cambio del petrolio, un embrione di servizio sanitario. Soprattutto, ha dato al «popolo dei diseredati», che ha costituito fin dall'inizio la base elettorale dello chavismo, la sensazione di non essere più abbandonati a se stessi.
Grazie a loro, ha vinto - sia pure con l'aiuto di brogli e sopraffazioni di ogni genere - tutte le elezioni cui ha partecipato e non poteva perciò essere considerato - tecnicamente - un dittatore. Per garantirsi il potere, ha tuttavia cacciato dalle forze armate e dall'apparato statale tutti i suoi potenziali avversari, ha costretto radio e televisioni private a seguire le sue direttive e quando è stato necessario ha alterato a proprio favore gli equilibri della Corte suprema, portandola da 20 a 32 membri. Con i continui incitamenti alla lotta di classe ha polarizzato il paese, con la parte più abbiente della popolazione che lo odiava e la parte più indigente che lo amava.
Ma, con tutta la sua autorità, non è riuscito a risolvere i problemi di fondo: una corruzione rampante, una criminalità con poche eguali al mondo, una inflazione alimentata da una spesa pubblica fuori controllo e disfunzioni clamorose in una economia ormai controllata in buona misura, dopo ondate successive di nazionalizzazioni, dallo Stato.


Tuttavia, anche di fronte alle difficoltà quotidiane, i suoi fedeli continuano ad attribuirne la colpa non a lui, ma ai suoi collaboratori; e quando la morte lo raggiungerà, per molti il lutto sarà genuino.

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